Tomba dei giganti di Bidistili o Durane, Fonni
A m 825 s.l.m., al km 126 della strada statale Fonni–Nuoro per Mamoiada n. 389, a un centinaio di metri circa a destra della stessa.
Scavata nell‘agosto del 1978 da G. Lilliu, per conto della Soprintendenza archeologica per le Province di Sassari e Nuoro.
La tomba è situata su una radura pianeggiante che declina a sud–est verso il fiume Taloro. A una ventina di metri da nord–ovest a sud della sepoltura, emergono dal terreno ricoperto di timo i resti di antiche costruzioni, in grosse e medie pietre di granito, accennanti a forma circolare, forse capanne di abitazione. Meno di 500 m a nord–ovest si elevano i ruderi del nuraghe Istalate di Gavoi (m 899).
La tomba, di sagoma corta e rozza e bassa, tutta in granito del posto, è lunga sull‘asse ingresso–muro esterno dell‘abside m 9,33, e larga, alla massima espansione del corpo murario m 8, all‘estremità dell‘esedra, ampia e distesa, m 14,66 (freccia della corda m 2,93).
La struttura, molto degradata, residua per l‘altezza massima di m 1,73, al filo della stele di facciata. Il corpo, a mezza ellisse (che disegna simbolicamente la protome del bue), consta di due cerchie di muratura, l‘esterna in grosse pietre messe orizzontalmente, rincalzata a tratti da una massicciata in funzione anche di drenaggio dell‘acqua piovana; l‘interna, più alta, fatta di lastroni ritagliati e ben congiunti posati obliquamente su una platea a gradone. L‘intero spessore della duplice cerchia compreso il riempimento litico e di terra tra il cordone interno e le pareti della camera funeraria, di m 2,66 per parte, funge da rinfianco a quest‘ultima e da sostegno al tumulo cui i lastroni inclinati prepara vano la forma a barca. Dalla copertura tumulare, oggi rimossa, emergeva soltanto la facciata, in disegno di corna lunate. Essa mostra un bancone basale a elementi alti e larghi in media cm 26 e 40, ed è limitata da un ordine di ortostati ben rifiniti a scalpello e ben connessi, sormontati da una fila orizzontale di pietre conce convergenti verso l‘architrave dell‘ingresso (un blocco parallelepipedo di m 1,46 di lunghezza x 0,71 di profondità in muro e 0,40 di altezza), che sostiene la stele centrale. Questo elemento, di significato simbolico come in una ventina e più di altri esemplari della Sardegna centro–settentrionale, si caratterizza per la presenza di quattro listelli (o dentelli) alternati a tre incavi alla base della pietra di forma trapezia ristretta in alto da una rozza intaccatura per parte (alt. e spess. m 0,56, larghezza m 1,46). Di natura simbolico–cultuale è pure il pilastrino betilico rastremato, di m 1,20 d‘altezza, collocato in una lacuna della banchina, nell‘ala destra, per chi guarda, dell‘esedra.
Un basso e stretto portello rettangolare, coperto dall‘architrave e da un lastrone retrostante più basso (alt. del portello cm 66, largh. 46) introduce al vano funerario, in figura di rettangolo di m 4 di lunghezza x 0,93 di larghezza, limitato da ortostati levigati e ben accostati con inclinazione verso l‘interno (cinque per parete di m 0,82/0,88 d‘altezza) sui quali un ordine di conci orizzontali, chiusi da elementi litici o lignei di piattabanda, formava il soffitto oggi sparito. Il pavimento della camera è regolarmente lastricato, su un vespaio di adattamento alla roccia naturale, come il tratto dell‘esedra davanti all‘ingresso..
Lo scavo ha fornito nel vano materiali di corredo dei defunti, le cui ossa si sono tutte consunte per l‘azione disgregatrice del granito, e di offerta rituale nell‘esedra, a ridosso della banchina dove forse gli oggetti erano deposti in maggiore quantità, non a caso, nei pressi del pilastrino betilico che segnava la divinità protettrice dei morti. Dentro la tomba, fuori strato, si raccolsero pezzi di tegami con fondo impresso a pettine, da supporsi elementi delle più antiche deposizioni. Ma nella parte anteriore lungo la parete sinistra, frugato ma non spostato, stava un gruppo di tre vasi (una ciotolina cilindrica e due tazze carenate di cui una capovolta secondo il concetto del mondo infernale rovesciato e l‘altra con presine a pastiglia sotto il bordo) da ascrivere all‘ultimo seppellimento. Tutti gli oggetti poi erano deposti su un letto di ciottoli fluviali, spesso da 5 a 15 cm, simbolo del viaggio per acqua dei morti, ideologia riscontrata anche in ciottoli marini della «nau» di Es. Tudons a Ciudadela di Minorca. Nello spazio dell‘esedra gli scavi hanno restituito un macinello di granito, due dischetti forati di ardesia, un cristallo di rocca, poche scheggioline e lamette d‘ossidiana. Le ceramiche d‘impasto, rozze e rifinite (talune con riflesso argenteo di superfici), mostrano forme di olle con orlo ingrossato e a colletto, ciotole emisferiche e carenate, spiane e soprattutto tegami, lisci o decorati sul fondo con motivi lineari (anche un disegno antropomorfo stilizzato), punteggiati o strisciati. Su due vasi a colletto appare una decorazione a lievi solcature ricurve, o a onda e a zig–zag, fatte con la stecca, d‘uno stile conosciuto in stoviglie del nuraghe Lugherras (Paulilàtino) anteriori alle ceramiche geometriche. Si è raccolta, infine, una piccola fuseruola o grano di collana, in terracotta. La tomba, costruita nei secoli XIII–XII a.C., era ancora in uso nel IX, come indicano le diverse suppellettili.
Bibliografia:
G. Lilliu, «Nur, La misteriosa civiltà dei Sardi», Milano 1980, p.
122, fig. 111, p. 130; Id., Monumenti antichi barbaricini, Sassari 1981, p. 121 ss., tavy. XLIV–XLVIII.
Autore: Giovanni Lilliu
Testo tratto da: I Sardi – La Sardegna dal Paleolitico all’Età Romana
Per saperne di più:
https://www.prolocofonni.it/la-tomba-dei-giganti-bidistili/