Gonnonnò – Gonnosnò: pozzo sacro di San Salvatore

Pozzo sacro di San Salvatore, Gonnosnò

L’area archeologica di San Salvatore occupa la sommità della collina denominata Mitza Santu Srabadori (m 212 sul livello del mare) posta a sud della frazione di Figu in comune di Gonnosnò (OR).

Il sito non costituisce una presenza archeologica isolata in questa porzione di territorio, in quanto a poca distanza dalla collina di Santu Srabadori, in direzione est, si conservano importanti resti di epoca nuragica pertinenti alle tombe di giganti di Is Lapideddas, già oggetto di indagini negli anni passati, mentre i resti di un nuraghe, denominato Soru, si osservano sull’omonima collina (m 171) posta al confine con il comune di Curcuris, a circa 1 km in direzione sud-est rispetto all’area di San Salvatore.

Il monumento era noto sin dall’epoca di Taramelli, che nel 1918 ne pubblicò una breve notizia in una nota dell’articolo relativo al tempio a pozzo di Santa Anastasia di Sardara (CA), sottolineando la raffinatezza della copertura del vano scala.

In attesa della prosecuzione dello scavo e dello studio integrale dei materiali, si presentano in via preliminare alcuni dati delle indagini archeologiche finora svolte presso il monumento di San Salvatore. I depostiti indagati hanno restituito le tracce di un’intensa frequentazione dell’area che, sviluppandosi almeno a partire dalla Prima Età del Ferro, attraverso l’età punica e sino al basso Medioevo (XIV secolo), con una soluzione di continuità relativa al periodo romano imperiale, è possibile ricostruire con la sequenza cronologico-funzionale che di seguito si propone:

  • I fase: realizzazione del tempio a pozzo;
  • II fase: frequentazione rituale dell’atrio antistante l’ingresso al pozzo in epoca punica;
  • III fase: realizzazione della chiesa di San Salvatore;
  • IV fase: uso cimiteriale dell’area attorno alla chiesa di San Salvatore;
  • V fase: sistemazione del settore antistante il pozzo;
  • VI fase: spoliazione di materiale lapideo;
  • VII fase: utilizzo agricolo dell’area.

Nell’ambito della seriazione proposta si analizzeranno in particolare alcuni elementi relativi alle fasi I e II, pertinenti al primo impianto dell’edificio nuragico e al suo riutilizzo in epoca punica. Lo scavo dei depositi non è stato ancora ultimato e pertanto non sono state poste completamente in luce le murature pertinenti alla fase di costruzione originaria del monumento; tuttavia, risultano chiaramente leggibili fin d’ora i tre elementi canonici che caratterizzano i pozzi sacri di età nuragica: un atrio o vestibolo, una scala e una camera circolare con copertura a tholos. Le strutture murarie sono realizzate con marna locale, materiale assai pregevole dal punto di vista estetico, per via della sua colorazione biancastra e dell’aspetto uniforme, ma assai friabile e facilmente deteriorabile quanto a consistenza. L’opera è subisodoma, con blocchi di forma parallelepipeda squadrata, lavorati a martellina e sovrapposti a filari sfalsati con inserimento di terra tra i piani di posa. Su base comparativa il primo impianto del monumento di Figu potrebbe essere stato realizzato tra le fasi recente e finale dell’Età del Bronzo, tra il XIII e l’XI secolo a.C.

Per la presenza di murature che si addossano al monumento nuragico, alcune attribuibili a epoca medievale, al momento non è possibile indagare le stratigrafie e leggere interamente le strutture nel settore antistante l’accesso al pozzo. Da una prima analisi sembrerebbe che nella fase più antica l’atrio, aperto a W, fosse costituito da uno spazio di forma rettangolare (circa2,50 x 3 m), delimitato da una duplice coppia di blocchi squadrati, posti in opera su due filari in posizione simmetrica rispetto all’ingresso del pozzo. La pavimentazione in fase con il primo impianto era costituita da un lastricato di grandi blocchi di marna di forma irregolare giustapposti. Di fronte all’ingresso, in posizione leggermente decentrata e coerente con i blocchi della pavimentazione, si trovava un elemento litico in arenaria di forma circolare, di circa 40 cm di diametro, con foro centrale pervio, ugualmente subcircolare, di circa 15  cm di larghezza e 10  di profondità.  Alla base del foro si riconoscono due lastre di marna di grandi dimensioni, con superficie perfettamente lisciata, e giustapposte, che costituiscono la pavimentazione della fase originaria dell’atrio.

Dall’atrio ci si immetteva nel vano scala attraverso un passaggio di forma trapezoidale fortemente rastremata, sottolineato dalla presenza di un architrave di forma parallelepipeda (circa 1,30 x 0,50 m) irregolare. Il passaggio nel vano scala doveva essere abbastanza agevole, dato che presenta un’altezza media, nonostante il parziale riempimento ancora in posto, di circa 1,70 m e una larghezza di circa 1 m. La copertura è realizzata a piattabanda mediante la posa in opera di dodici blocchi di grandi dimensioni, sovrapposti parzialmente e in aggetto, ad eccezione del tratto iniziale, dove tre elementi risultano perfettamente affiancati. Il vano scala è lungo circa 6 m e, attraverso un secondo architrave posto più in basso, conduce alla camera sotterranea, che non risulta perfettamente in asse rispetto all’ingresso, ma di poco decentrata verso destra. La forma della camera è subcircolare, con diametro massimo di circa 2,40 m. I depositi della camera sono stati indagati interamente ed è stato pertanto possibile mettere in luce il piano di roccia naturale lavorato in antico per raggiungere la falda acquifera. Alla base della camera, in posizione leggermente decentrata, è visibile una concavità subcircolare profonda circa 20 cm che, date le dimensioni ridotte, potrebbe avere avuto una funzione rituale. Il vano scala è stato indagato solamente nel breve tratto finale, in corrispondenza dell’accesso alla camera. Lo scavo ha rivelato la presenza di un’originaria scalinata costituita da una serie di almeno cinque gradini ricavati nella roccia naturale, riutilizzati in epoca punica e risistemati successivamente. La copertura della tholos, perfettamente conservata, si innesta direttamente sulla roccia naturale e si innalza mediante nove filari sul piano roccioso per circa 4 m, sino a raggiungere l’attuale piano di campagna. Esternamente il tamburo del pozzo, che ha diametro massimo di circa 5,30 m, è costituito da un doppio paramento di blocchi; quelli esterni sono parallelepipedi e sagomati in forma curvilinea, quelli interni si presentano invece lavorati più rozzamente. La muratura risulta a tratti incompleta a causa dell’asportazione in antico di alcuni elementi che si trovano riutilizzati in altri settori dell’area di scavo.

I reperti archeologici riferibili alle più antiche fasi di frequentazione del pozzo sacro provengono da uno strato di accumulo individuato nell’atrio. Il deposito era costituito da numerose categorie di materiali, fra cui numerosi frammenti ceramici eterogenei per cronologia e tipologia. La formazione dell’accumulo è collocabile a partire dalla seconda metà del III secolo a.C., come attesta la maggior parte del materiale del deposito, attribuibile a questa fase, tra cui una moneta in bronzo con testa di Core sul recto e tre spighe sul verso. La cronologia di alcuni sporadici reperti, tuttavia, rimonta a un periodo compreso tra il Bronzo Recente e la Prima Età del Ferro, come attestano il frammento di una ciotola carenata con decorazione di tipo geometrico e il frammento di una spada votiva in bronzo. Il frammento ceramico, che conserva tracce di ingobbio rosso in corrispondenza e al di sotto dell’orlo, mostra parte di una decorazione di tipo geometrico caratterizzata da una serie di tre cerchielli che sormonta un motivo “a dente di lupo”. Si tratta di un tipo di decorazione assai frequente nei contesti archeologici dell’Età del Ferro.

Il frammento di spada, lungo circa 5,9 cm, largo circa 2,8 cm e con spessore massimo di 0,9 cm, è caratterizzato dalla presenza di una costolatura mediana. Rientra nel tipo delle cosiddette “spade votive”, il cui uso è attestato a partire dal Bronzo Recente e che si ritrovano nei nuraghi, nelle capanne, ovvero infisse con la punta rivolta verso l’alto in aree cerimoniali presso i pozzi o le fonti sacre o ancora in frammenti tra le offerte dei luoghi di culto. L’attribuzione cronologica del pozzo all’Età del Bronzo, allo stato delle indagini, è suffragata sia dai confronti planimetrici che è possibile istituire tra il monumento di San Salvatore e altri edifici datati in maniera sicura a tale epoca, sia dalla presenza nel sito di alcuni reperti da collocare tra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro.

Resta il fatto che al momento risultano più evidenti le risistemazioni effettuate all’interno dell’atrio e che gli unici strati di frequentazione individuati sono pertinenti a epoca punica.

Nel corso della fase punica il settore delimitato dalle strutture pertinenti all’atrio nuragico ha subito diversi interventi di risistemazione. Lo scavo in questo settore, come anticipato, non è stato ancora ultimato; tuttavia, sono state individuate le seguenti fasi di frequentazione, certamente successive al primo impianto: una pavimentazione assai deteriorata costituita da lastrine di marna giustapposte, rinvenuta alla base dei blocchi che delimitano l’atrio nel settore sudovest, lo strato di accumulo rinvenuto alla base del settore nord-est dell’atrio, che copre parzialmente la pavimentazione di lastrine e sembra formatosi a partire dalla seconda metà del III secolo a.C, e una pavimentazione costituita da ciottoli di tufo giustapposti, che a sua volta copre parzialmente l’accumulo di III secolo e la pavimentazione di lastrine. Nello strato di disfacimento che copriva la pavimentazione più recente costituita da ciottoli di tufo sono stati trovati pochissimi reperti, tra cui un pendente di vetro bluastro e smalti policromi pertinenti a una testa virile barbata, frammentata nella porzione inferiore, in corrispondenza del punto di applicazione della barba, e un elemento di collana di forma sferica, in pasta vitrea di colore verde, con applicazioni policrome e decorazione a occhio di dado, entrambi databili tra il IV e il III secolo a.C.

In posizione centrale rispetto all’ingresso al pozzo, in fase con la pavimentazione più recente costituita dai ciottoli di tufo, databile a partire dalla seconda metà del III secolo a.C., sono stati individuati un betilo e una cista litica.

Il betilo, di circa 1 m di altezza e 0,60 di diametro, risulta infisso nel terreno e sostenuto alla base da pietre di piccole dimensioni inserite come zeppe. A ovest del monolite erano sistemate quattro lastre di medie dimensioni, infisse in posizione inclinata a delimitare una “cista litica”. Il deposito interno alla cista  conteneva pochi frammenti ceramici e numerosi frustuli di carbone e ossi combusti, questi ultimi verosimilmente pertinenti a piccoli volatili. I frammenti di ceramica, perlopiù pareti tipologicamente non diagnostiche e di piccole dimensioni, alcuni piccolissimi e assai consunti, appartengono a forme differenti in uso entro un ampio arco cronologico. Tra i materiali si segnala la presenza di un frammento di ciotola carenata a pasta chiara con residue labili tracce di pittura rossa sulle superfici interna ed esterna, dall’orlo alla carena, un frammento d’orlo pertinente a un piatto con orlo a spigolo interno, un frammento d’orlo di pentola di ceramica d’impasto  e un frammento di patera di ceramica a vernice nera.

Il deposito non presentava una microstratigrafia interna e, pur avendo restituito materiale il cui utilizzo è attestato a partire dal VII secolo a.C., sembra essersi formato non prima della fine del III, come attesta la presenza del frammento di patera succitato, che si trovava alla base del deposito.

In prossimità dell’ingresso al pozzo era presente inoltre un allineamento di pietre giustapposte a formare uno spazio approssimativamente circolare, il cui proseguimento dovrebbe trovarsi al di sotto della struttura medievale che gli si appoggia. Stratigrafie e quote suggeriscono che questa sistemazione fosse in fase con la pavimentazione di ciottoli, con il betilo e con la cista litica. Nello spazio a est a ridosso del betilo, nel settore antistante l’ingresso al pozzo, compreso tra le due ali costituite dai banconi dell’atrio, si trovava l’accumulo di terra nerastra che ha restituito numerosissimi frammenti ceramici, talvolta con tracce di fuoco sulle pareti, frustuli di carbone, ossi combusti, elementi di metallo e diverse conchiglie. Alcune forme ceramiche indicano che la formazione del deposito sia avvenuta successivamente al III-II secolo a.C.; tra i reperti si presentano: il frammento dell’orlo di un bacile con residua palmetta impressa, quattro frammenti, tra cui l’orlo e parte del fondo, di un unguentario in pasta vitrea con corpo blu, caratterizzato da bande gialle e azzurre ripartite da motivi lineari e a zigzag e orlo giallo, quattro frammenti pertinenti a uno skyphos di ceramica attica a figure nere dei quali, date le dimensioni ridotte, è difficile determinare il motivo figurativo, due frammenti di anfora con parete di colore beige chiaro su cui residuano due bande parallele di pittura rossa, tre frammenti d’argilla che riproducono il piede, la gamba e la coscia di un ex voto plasmato a mano, che conserva una deco razione a cerchielli impressi la quale potrebbe indicare il lembo inferiore della veste o forse parte dell’armatura e un frammento di ex voto in terracotta pertinente alla porzione inferiore – mento e labbra – di una mascherina di fine fattura, ottenuta su matrice.

Le caratteristiche compositive del deposito – l’amuleto, i vaghi in pasta vitrea, i frammenti di bronzo, quelli pertinenti a ex voto, i frammenti di ceramica quali lo skyphos o l’unguentario, nonché la presenza del betilo e della cista litica e in particolare la presenza di carboni, ossi combusti e frammenti di ceramica con tracce di fuoco sulla pareti – suggeriscono di interpretare lo strato come un accumulo di materiale prodotto in seguito ad attività rituali svolte tra l’età fenicia e quella punica, forse all’interno dell’atrio ma non necessariamente. Le ossa combuste di piccoli volatili sembrano indicare che tra le attività fosse prevista la pratica dell’offerta di un piccolo sacrificio animale. I frammenti di spada e di tazza carenata con decorazione geometrica potrebbero invece costituire due elementi di pregio residui delle frequentazioni di epoche precedenti. La presenza di elementi cultuali quali il frammento di spada nuragica o gli ex voto punici e le tracce delle probabili attività rituali suggeriscono inoltre la continuità d’uso dell’edificio, destinato alla pratica del culto per le acque sorgive. Tale continuità è avvalorata saldamente dalla presenza della pietra betilica, collocata in epoca punica al centro dell’atrio in posizione frontale rispetto all’ingresso del pozzo, a rafforzare il rapporto di continuità tra l’etnia indigena e quella semitica e riproponendo l’interessante problematica del contatto e del sincretismo religioso tra le due comunità, peraltro in un’area interna rispetto alle vie di traffico maggiormente note e documentate, quale è quella dell’alta Marmilla.

FONTE: Maria Cristina Ciccone e Emerenziana Usai – Il pozzo sacro di San Salvatore-Gonnosnò (OR)

Tharros Felix 4 – A cura di Attilio Mastino, Pier Giorgio Spanu, Alessandro Usai, Raimondo Zucca

pozzo sacro San Salvatore

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