Sedilo: nuraghe Perra de Part’e Susu

Nuraghe Perra de Part’e Susu, Sedilo

 

I SEGRETI DEL NURAGHE “PERRA DE PART ‘E SUSU”

di Giacobbe Manca

II Nuraghe “Perra de parte ‘e susu “, come dice il nome, si trova a nord di Sedilo, in un paesaggio straordinario, per l’ampiezza dell’orizzonte tutt’ attorno e per la ricchezza e la bellezza del patrimonio archeologico, che qui è altamente presente, anche con dolmens e tombe di giganti.

Non può dunque essere confuso con l’omonimo nuraghe “Perra”, sempre di Sedilo, ma che si trova in regione Lochele, verso il confine con Olzai, oltre il fiume Tirso.

Si raggiunge lungo la strada che porta a Noragugume, nella regione di Culumbos, il cui toponimo è da mettere in relazione col nuraghe omonimo, conosciuto per le belle strutture e per la presenza, nel suo paramento estemo, dei “fori ciechi”, ben osservabili nella loro disposizione regolare, che consentono ai volatili di nidificarvi da innumerevoli generazioni e a noi hanno permesso, unitamente a numerosi altri esempi, di ricostruire le particolarità esteme dei nuraghi cosiddetti a “tholos”, e cioè a sviluppo verticale, che in un momento della loro evoluzione ebbero, al loro estemo, delle ampie rampe lignee elicoidali. Tutti i nuraghi del territorio di Sedilo ci danno, grazie al loro discreto stato di conservazione, la possibilità di aggiungere un piccolo tassello nel quadro della restituzione architettonica, che qui si mostra ricca e articolata. All’accuratezza delle belle architetture e alla varietà di tipologie, sommiamo le singolarità, che ci offrono esempi stupefacenti e significativi.

A questo riguardo, davvero speciale è l’apporto che ci viene offerto dall’osservazione delle strutture del nuraghe “Perra de parte ‘e susu”, posto tra i consimili e non meno belli Lure e Serra; esso ci consente infatti l’occasione di importanti conferme nella interpretazione dei fatti architettonici. 1

II nome “Perra” più propriamente significa “una parte”, “non intero”, come appunto è stato ridotto il nostro monumento, ma per fortuna della scienza, il forte spietramento che ha determinato la demolizione dei piani alti fu arrestato appena in tempo. Si conserva il piano terra con gran parte della copertura e tutte intere le articolazioni interne.

Si tratta di una costruzione circolare, senza ulteriori addossamenti osservabili al livello attuale del suolo.

Dal lato di ovest si osserva un accumulo di pietre e terra, così come fu abbandonato dopo la volontaria distruzione, per il recupero delle pietre, certo destinate ai muri a secco dei chiusi.

L’edifìcio è realizzato in blocchi di basalto alveolare, di taglio vario, ma con blocchi ben definibili “megalitici”, dalle forme pure diverse, così come si possono reperire nell’altopiano: di taglio poligonale e parallelepipedo, per cui i suoi paramenti murari appaiono abbastanza regolari, ma in pari tempo compositi, proprio per l’alternarsi di tratti a fìlari abbastanza omogenei, con tratti dominati dall’inserzione di blocchi poligonali collocati ad incastro.

L’aspetto esterno ha la medesima rispondenza tecnica all’interno pur con le dovute varianti che consistono in una dimensione mediamente inferiore dei massi posti in opera, un taglio più vivo delle facce a vista e una fìtta presenza di minute zeppe, poste solo per riempire gli interstizi, legate da una malta tenace, dello stesso colore delle rocce.2

L’ogiva che volta la camera è alta e slanciata; la distruzione parziale ha determinato la perdita di un buon tratto della parete nel lato ovest, secondo una linea obliqua, e questo particolare ha lasciato pressoché integra l’altezza (di cui parrebbe mancare la sola pietra apicale), che quindi può essere ricostituita compiutamente, aggiungendo ai sei metri attuali il riempimento di terra e massi di crollo che occupa il vano, e che possiamo calcolare, dai riferimenti dell’ingresso, in circa 1,50/1,80 metri.

La demolizione non ha interessato la parte del nuraghe che conserva ancora intatte tutte le particolarità architettoniche, assai rare e di grande interesse scientifico, di cui si dirà avanti.
L’ingresso al monumento appare abbastanza insolito, giacché non si trova un architrave a determinarlo, ma due mensole a riscontro, con una piccola pietra triangolare che si incastra fra esse, come una “chiave di volta”. La suggestione è forte, ma alla luce di una più attenta osservazione, scopriamo che in realtà gli stipiti attuali mostrano fratture “fresche” nelle facce inteme e dunque la vera architrave fu spezzata per consentire l’accesso all’interno del nuraghe a persone e animali di grossa taglia. Un vero scempio, che tuttavia ci conferma ancora, se ce ne fosse bisogno, che le architravi non reggono altro (e per fortuna), se non il loro stesso peso, non certo il paramento murario sovrastante. 3

Ricollocando idealmente l’architrave al suo posto ideale, possiamo dunque calcolare l’interramento dell’edifìcio, secondo misure medie attribuibili all’altezza dell’ingresso, che, in quel punto risulta di circa un metro rispetto al piano di campagna.

Internamente l’accumulo è maggiore.

Il corridoio d’accesso è ampliato da una nicchia sulla destra, mentre sulla sinistra s’avvia il vano delle scale elicoidali, che dopo breve tratto appare totalmente ostruito e demolito dal crollo; sul fondo, la camera circolare ampliata da tre nicchie, secondo una planimetria considerata consueta in questo tipo di nuraghe.

Dentro la camera, nell’alto della parete meglio conservata, si osservano delle particolarità costruttive davvero insolite che rendono “misterioso” e straordinario questo nuraghe: due aperture poste assai vicine, certamente passaggi, di diverse dimensioni e a diversa altezza dal suolo, pongono interrogativi sull’allestimento intemo della camera e sulle motivazioni d’uso che dovettero determinarle.

Entrambe sono percorribili e sono in comunicazione con la medesima celletta contenuta all’intemo dello spessore murario, proprio nella parte che sovrasta il corridoio dell’ingresso.

Questo stanzino si raggiunge anche per un cunicolo malagevole ed erto, che muove dal fondo della nicchia di destra.

Dal pavimento della stanzetta, illuminata ai due estremi da due strette prese di luce, si può osservare il corridoio d’ingresso proprio nel tratto di avvio al vano scale, senza essere visti. 4

Insomma si tratta di un punto di osservazione segreta che, in caso di necessità, può essere una micidiale calatoia per fermare gli indesiderati. Ma qui non vogliamo porre limiti alla fantasia di chicchessia, per cui ciascuno interpreti la cosa come vuole, anche, se crede, come la “dimostrazione evidente” che si tratti del cunicolo dove si appartavano, nascosti, gli stregoni o le sacerdotesse per comunicare, con la voce agghiacciante “dei muri”, i responsi oracolari. Noi non vogliamo porre limiti alle scelte e alla responsabilità di nessuno, ma riteniamo sia più interessante osservare come la presenza della stanzetta e dei suoi differenti accessi, del pari ai fori ciechi presenti nel paramento murario, proprio a lato e sotto le architravi delle nicchie sottostanti, ci consenta di ricostruire qualcosa di assai più solido e su basi reali.

Dobbiamo insomma darci soprattutto una spiegazione logica e funzionale del mistero apparente, che vede una stanzetta riservata, ma fornita di tante aperture. Da un punto di vista funzionale e architettonico, possiamo capire compiutamente tutto l’insieme solo col prendere atto della volontà di quei Nuragici di realizzare un’ampia possibilità di movimento all’interno dell’edifìcio, in molte direzioni, per un più razionale utilizzo nel senso dell’altezza dell’alta camera ogivale e non solo.

In questa “tholos” dunque esistevano in opera delle trabeazioni per due distinti soppalchi sovrapposti, forse raccordati da una scaletta lignea, ai quali si affacciavano distintamente le due aperture superiori della cameretta,l’alto sopraluce della nicchietta di fondo e, probabilmente, una scala lignea dal livello del suolo.

Questa ricostruzione può essere fatta sulla base dei “segni” osservabili sui muri, sulla logica desumibile dalle soluzioni architettoniche e dal calcolo delle altezze, e tutto conferma quanto esposto.

Anche in altri monumenti sono molti i segni che ci dicono quanto importante fosse la carpenteria non solo ai fini della costruzione dei nuraghi, ma anche nell’uso del legname come parte integrante dei nuraghi.

Comunemente si pensa ai nuraghi come a strutture esclusivamente costituite di pietre, ma dobbiamo invece accettare il fatto che, almeno nelle alte camere ogivali, fosse comune o meglio costante l’uso di soppalchi, e il nuraghe Perra ce ne offre una conferma autorevole, e non solo con la presenza di fori ciechi quadrangolari atti a contenere robuste trabeazioni. 5

Dell’elevato di questo nuraghe possiamo dire solo della forte probabilità (se non la necessità), che esistesse almeno un primo piano e forse anche un secondo livello di sopraelevazione. Sarebbe stato davvero interessante poter osservare se anche al primo piano ci fosse il soppalco ligneo. La demolizione non ce lo consente, ma altri casi, come ad esempio osserviamo nella camera corrispondente del Santu Antine di Torralba, ci dicono che era del tutto probabile.

Per chiudere questo breve articolo vorrei parlare del paramento murario esterno, dove si osserva un altro particolare insolito. Le pietre di diverso taglio determinano, come detto, tratti di fìlari regolari, con cambiamenti dovuti all’introduzione di blocchi poligonali, ma in alcuni punti e a diversa altezza, si notano delle lastre disposte obliquamente, come se i costruttori non avessero rispettato più la regola dispositiva correntemente seguita. E’ un modo di fare difficilmente spiegabile se non si accetta che l’edificio fosse stato costruito lasciando proprio in quel tratto un ampio spazio aperto a ventaglio per la ricarica dei materiali d’opera.

Alla chiusura progressiva dei filari, ipotizziamo che si dovettero così calare dall’alto i massi, che necessariamente venivano a trovarsi incastrati obliquamente.-

Questo espediente, infatti, possiamo osservarlo in muri nuragici, che dovettero essere costruiti, per certo, fra due opere o muri esistenti. La stessa “tecnica” costruttiva possiamo osservarla nel nuraghe Orrubiu di Orroli, in un tratto di cortina che dal rifascio delpentalobosiaddossaallatorrecentrale, delimitando il tratto meridionale del cortile.

Questa la spiegazione tecnica, ma non ci scandalizzeremmo se altri volessero sostenere anche motivazioni che riportino alla sfera delle procedure magico-rituali.

1 – G.Manca, “Nuraghi : tecniche costruttive”, in Sardegna Antica Culture Mediterranee n°7, 1995, pp. 18-23 ; idem, “Ricerca strutturale salvaguardia dei monumenti preistorici”, in Sard. Ant. C.M. n°5, 1994, pp. 18-23. Per una ricerca strutturale dell’architettura nuragica, si veda G. Manca, “Premessa critica”, in A.M. Centurione, “Studi recenti sopra i nuraghi e loro importanza”, 1888, ed. anastatica, Editrice Solinass, 1995.

2 – A conferma di quanto affermato, si osserva che spesso le zeppe sono di un materiale più tenero di quello dei massi in opera, per consentire un calibrato schiacciamento delle stesse, così che restino incastrate, ma non facciano perno per il masso in opera. Si veda, al riguardo, la tecnica adottata nel nuraghe Porcalzos di Borore, nel Madrone di Silanus o nel Santu Antine di Torralba (ma anche in tanti altri), dove sono in opera zeppe di materiale pomiceo.

3 – L’architrave fu malamente demolito alcuni decenni orsono da un affittuario del terreno, per consentire l’accesso al bestiame vaccino. Le due lastre e la spina, che ora risultano a sbalzo, confermano ancora una volta che in edifici costruiti al modo nuragico l’architrave non ha una reale funzione di sostegno, ma reggeva solo sé stessa ma tutt’al più, la pietra che la sovrastava e che pertanto non era utile la presenza di un finestrelle di scarico, che, ove figuri, aveva la funzione di sopraluce. L’inusitata dimensione di talune architravi non ha certo motivazioni nella statica degli edifici, quanto in altre più articolate esigenze morali dei costruttori, che noi possiamo solo immaginare.

4 – Le stanzette che sovrastano il corridoio d’ingresso sono poco frequenti, ma non rare. Se ne conoscono, ad esempio, al Santu Antine di Torralba e al Crabia di Bauladu. In quest’ultimo esempio abbiamo la stessa disposizione del cunicolo di accesso alla camera nascosta, che muove dalla nicchia destra, e la stessa funzionalità di controllo, tramite una botola, posta sull’andito principale. Il controllo dell’ingresso estemo, nel tratto cruciale di raccordo tra camera e scale elicoidali, è pure presente nel Madrone o Orolio di Silanus, qui attuato con un lungo passaggio “segreto” che muove dalla nicchia del piano superiore e scende, parallelamente alla scala elicoidale, fino a scavalcare l’accesso di base e concludersi alla sua destra, in un cubicolo, dal quale si può controllare l’ingresso o sortire, attraverso lo spazio, tra due piattabande sfalsate.

5 – In opposizione ad uno dei fori potrebbe corrispondere uno spazio a peduccio ottenuto nella parete. E’ capace di ospitare una trave lignea, ma qui voglio proporre solo elementi più che credibili, quali i fori ciechi quadrangolari, non funzionali certo come “maccherinas” opiccoliripostigli,giacchésarebbero davvero altri sul suolo, ove si consideri il notevole riempimento della camera.

ARTICOLO APPARSO SU LOGOS, LA RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ARCHEOLOGICA ILOI DI SEDILO. Per saperne di più visita http://www.iloisedilo.org/

http://www.iloisedilo.org/raccolta/pdf/1996/02.pdf

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