Nuraghe Arrubiu, Orroli
Come arrivare:
Da Orroli si prende per Escalaplano; al km 9 si svolta a sinistra nella strada che conduce, dopo circa 3,5 km, all’area archeologica. Coordinate: 39°39’43″N 9°17’51″E
Nel cuore dell‘Alto Sarcidano, sull’altopiano basaltico del Pran‘e Muru, si erge il nuraghe Arrubiu di Orroli a dominio del guado del medio corso del Flumendosa, oggi coperto dall‘omonimo bacino artificiale.
Il complesso monumentale è costituito da una imponente struttura pentalobata in blocchi di basalto, la più grande finora sottoposta a scavo archeologico, attorniata da una cinta muraria comprendente complessivamente altre 11 o 12 torri, e da diverse capanne. A duecento metri a sud–sud ovest dal nuraghe si trova la tomba di giganti denominata la “Tomba della Spada”, mentre a circa 1,5 km è sito il vasto villaggio nuragico di “Su Putzu” che conserva un tempio a pozzo.
La torre centrale dell‘Arrubiu si conserva per un‘altezza di circa 15 m e svetta sulle altre cinque torri, collegate l‘una all‘altra da potenti muraglioni rettilinei, che racchiudono un cortile irregolarmente pentagonale (cortile B). Il vano inferiore della torre centrale presenta tre nicchie, di cui quella di sinistra ha un andamento a gomito e si addentra nello spessore murario della torre; la tholos, con un diametro di base di 5 m, si conserva integra per un‘altezza di 9,65 m.
Sul cortile B si aprono ben sette accessi che lo collegano alla torre centrale, a quattro torri del pentalobato, alla scala di accesso ai livelli superiori e all‘ingresso principale dell’edificio. Una banchina corre lungo il lato orientale del cortile al cui centro si trova una cisterna per la raccolta delle acque piovane. Altri cortili, racchiusi fra la cinta muraria esterna e il bastione pentalobato, sono ancora in parte occupati dalla presenza dei conci e dei mensoloni provenienti dai crolli delle parti superiori del nuraghe.
A ridosso del pentalobato all‘interno della cinta muraria si conservano due probabili silos, aventi una struttura a tronco di cono con l‘interno cavo.
Gli scavi archeologici, iniziati nel 1981 con un rilevamento integrale manuale e poi fotogrammetrico e con un diserbo mirato alla integrale conoscenza dei luoghi, sono tutt‘oggi in corso. I risultati scientifici ottenuti consentono di avanzare delle ipotesi fondate sulla storia dell‘edificio e delle comunità che vi hanno vissuto.
Il nuraghe pentalobato è stato edificato nel XIV secolo A.C. (fine del Bronzo Medio) e utilizzato sino al X secolo (fine del Bronzo Finale/inizio Prima Età del Ferro), quando subì un collasso strutturale. A datare l‘impianto del complesso è stato il rinvenimento di un vasetto miceneo, risalente al 1390–1340 a.C., spezzato probabilmente durante un rito di fondazione presso la nicchia d‘andito della torre centrale e i cui frammenti sono stati trovati anche nel vespaio pavimentale della camera, del cortile e della torre C. Ciò dimostra, oltre ad altri particolari costruttivi emersi dallo scavo e dallo studio del monumento, che la costruzione della torre centrale e del bastione pentalobato è stata eseguita secondo un progetto unitario. Il crollo del nuraghe e in particolare dell‘altissima torre centrale colmò il cortile B con circa 500 metri cubi di materiale, incluse le pietre finemente lavorate del coronamento della torre centrale; queste ultime, che assommano a molte centinaia di blocchi di forma varia, sono state tutte schedate durante lo scavo e inserite in un programma computerizzato che ha elaborato, su base fotogrammetrica, una prima ipotesi di ricostruzione grafica del monumento (1996 F.T. Studio di Federico Villani) e poi una seconda (2010 Giorgio Todde). Alcune pietre lavorate del coronamento della torre centrale sono state trovate ancora legate l‘una all‘altra da zeppe di piombo colate negli appositi incavi.
Allo stato attuale delle indagini sembra che la subitaneità e le dimensioni del crollo dell‘edificio abbiano impedito la prosecuzione della vita sul sito: infatti è stato constatato il totale abbandono del monumento dalla Prima Età del Ferro all‘età romana. Le ultime campagne di scavo nelle torri C e D del nuraghe offrono novità inedite riguardo alle fasi iniziali di vita negli ambienti e alla loro funzionalità.
La torre C, nota dai precedenti scavi come “la torre delle donne”, munita di alte feritoie che attraversano tutto lo spessore murario, ha restituito un frammento di ceramica dipinta egea di importazione contemporaneo al vasetto miceneo (alabastron) frantumato ritualmente nella torre centrale. Dallo stesso strato proviene anche un vasetto nuragico, con decorazione plastica e a puntini impressi sul labbro, databile alla fine del Bronzo Medio. A livello pavimentale occupano buona parte dello spazio due grandi piastre di cottura (diam. circa 120 cm, alt. 8–10 cm) in argilla concotta arrossata dal calore. Gli abbondanti frammenti carbonizzati di focacce non lievitate, le numerose coppe di cottura, il focolare centrale, le decine di macine e macinelli per la molitura dei cereali e i diversi elementi di falcetto in ossidiana che sono stati rinvenuti in tutto lo strato depongono per una funzionalità originaria del vano connessa ad attività di panificazione. Il rinvenimento negli strati superiori di fusaiole e di una zona pavimentata e delimitata da lastrine di scisto, sembra confermare la funzionalità dell‘ambiente in relazione ad attività del mondo femminile, quali molitura dei cereali, cottura del pane e tessitura.
L‘indagine archeologica della torre D, compiuta fra il 1996 e il 2016, ha consentito di individuare diverse fasi di vita nella camera della torre. Lo strato più profondo, riferibile al Bronzo Recente (XIV–XIII sec. a.C.), ha restituito sul battuto pavimentale, al centro della camera, una piastra di cottura in argilla concotta rossa che reca sulla sua superficie i frammenti di una coppa di cottura, intorno alla quale sono stati rinvenuti alcuni vasetti miniaturistici. Fra i reperti spicca la presenza di decine di elementi di falcetto in ossidiana, recipienti utilizzati per la consumazione dei cibi e un piccolo frammento d‘ansa sovraddipinta d‘importazione o d‘imitazione egea. Negli strati del Bronzo Finale (datati al C14 fra 1132 e 1003 anni calibreti a.C.), il vano, che fungeva da cucina, comprendeva un focolare, un fornetto a cupola utilizzato per la cottura di alimenti a basse temperature e un banco di lavoro. I reperti più significativi sono rappresentati da macine e pestelli, un pugnaletto in rame o bronzo e un minuscolo vago di collana in oro o elettro. Fra i resti carpologici (semi e frutti carbonizzati) vi sono cariossidi di grano e orzo, centinaia di ghiande, noccioli di olivo (forse selvatico), leguminose, semi di prugnolo, vinaccioli di vite selvatica e coltivata, e ancora del pane carbonizzato. I resti ossei (tutti resti di pasto) documentano specie domestiche (maiali, bovini e ovicaprini) e selvatiche come il cinghiale, il cervo e il Prolagus sardus, roditore estintosi durante l‘Età del Ferro. Fra i reperti ceramici sono documentati un fornello a ferro di cavallo e un alare, nonché vari recipienti che hanno contenuto le derrate solide.
Dopo l‘abbandono del sito, l‘area fu rifrequentata in età romana, come documentano i due laboratori enologici costruiti sopra il crollo del nuraghe, e in età vandala, come attestato nella zona occidentale, all‘esterno della cinta muraria nuragica, dove sono stati riutilizzati i resti di strutture capannicole di età nuragica.
Nota bibliografica Notizie preliminari sul nuraghe Arrubiu in: LO SCHIAVO, SANGES 1994; COSSU, ET AL. 2003; CAMPUS, ET AL. 2008.
Testo tratto da: Il tempo dei Nuraghi – Ilisso