Fonte nuragica Puntanarcu, Sedilo
Nella vallecola percorsa dal rio Puntanarcu,‘ in loc. S’Adde, a qualche chilometro dal centro abitato, in direzione Nord, il territorio di Sedilo conserva i resti di una distinta fonte sacra che, da tempo parzialmente in luce, è stata fatta oggetto, nell‘ultimo decennio del Novecento, di due brevi interventi di indagine, attivati dalla Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano di concerto con l‘Amministrazione comunale. Si tratta di un raffinato edificio isodomo, costruito con pietre squadrate e accuratamente martellinate, un piccolo gioiello dell‘architettura nuragica connessa con il culto delle acque, che gli elementi conoscitivi acquisiti, di ordine planimetrico e strutturale, danno di vivo interesse in quanto strutturato con prospetto originario a timpano, culminante dunque con copertura litica a doppia falda, come si osserva nel noto sacello, integralmente restituito, del Su Tempiesu di Orune. Stante la rilevanza del documento architettonico sedilese, se ne danno in questa sede succinte antecipazioni, per quanto i dati a disposizione siano ancora parziali e non supportati, per l‘inquadramento culturale del manufatto, dalla documentazione materiale di stretta pertinenza.
L‘edificio
La fonte sacra si staglia nel fianco meridionale della citata vallecola di Puntanarcu, ricadendo al piede del terreno declive, in posizione non eminente, ma riposta e priva in sostanza di raggio visivo, poiché fronteggiata dappresso, a settentrione, dai rilievi d‘altopiano segnati dai nuraghi Melas e Montemajore con le correlate tombe di Battos.
Il sacello, come al momento apprezzabile, ap pare conservato, in pianta, per oltre la metà, nel settore di fondo ed, in elevato, per una modesta porzione di base, quantificabile in circa un terzo dell‘alzato di origine (Fig. 1), che comprende co munque il nucleo strutturale di principale rilie Vo, ossia la cella di raccolta dell‘acqua sorgiva, cui si aggiunge, in posizione antistante contigua, un breve settore dell’atrio d‘ingresso, in parte degradato anche dallo scorrere ravvicinato trasverso del rio Puntanarcu.
Il vestibolo, definito da robuste ali rettilinee a doppio ordine di conci (Fig. 2.2), restituisce la larghezza interna del vano (m 2,18), indiziandone una verosimile stesura rettangolare allungata.
Il pavimento, come evidenzia un blocco originario in situ, presso la soglia, doveva essere percorso da una canaletta di deflusso, mentre la presenza, nel fianco Est, di un concio parallelepipedo, in rilievo sulla quota del piano di calpestio, sembra riferibile ad un originario bancone–sedile addossato ai lati lunghi del vano. Era questa l‘articolazione principalmente destinata alle offerte votive che, se non immerse nell‘acqua della cella, potevano trovare spazio in eventuali stipi murari o essere poggiate sul bancone–sedile o sul pavimento.
Dal vestibolo immette nella cella un portello di luce appena trapezoidale (m 0,42/0,48 di larghezza x 0,76 di altezza x 0,20 di spessore), munito di soglia, che stacca leggermente sul piano esterno del l‘atrio e, in termini appena più marcati, su quello interno della cameretta di fondo. Non si hanno, dunque, gradini di raccordo, mentre la soglia appare segnata, in maniera eccezionale e anomala, da tre canalette di scolmo ravvicinate trasverse, praticate con solco a V, verosimilmente non originarie.
La cella, rettangolare, molto piccola (m 0,60 di larghezza x 0,86 di lunghezza x 0,82 di altezza), è volumetricamente un parallelepipedo (Fig. 2.1), reso in accurata opera isodoma, che vede l‘impiego di conci basaltici connessi con attenta aderenza dei giunti sia nelle pareti, regolarmente verticali, sia all‘incontro con il soffitto, regolarmente piattabandato. Il piano pavimentale è invece escavato a conca per la raccolta dell‘acqua freatica, che ancor oggi vi penetra attraverso le linee di commessura dei conci basali, mentre in origine vi giungeva attraverso un‘apposita canaletta di adduzione, interrata, il cui sbocco è risparmiato alla base della parete di fondo del piccolo vano.
Sono caratteristiche strutturali, queste della celletta, che, si ripetono con buona aderenza in diverse altre fonti note in letteratura, quali, nel Sassarese e Nuorese, principalmente Su Lidone di Orune, Li Paladini di Calangianus, Sos Padres di Dualchi, nonchè Sos Nurattolos di Alà dei Sardi, tutte con piccolo vano di raccolta dell‘acqua improntato al rettilineo, anche nella copertura a piattabanda, mentre il fondo è ribassato a mò di breve pozzetto. Non differisce, se non per le dimensioni estremamente ridotte, la celletta parallelepipeda della fonte di Mitza Pidighi di Solarussa, aperta a tutta luce sull‘ampio vano antistante.
Il quadro comparativo si fa ovviamente più nutrito, se si estende l‘esame al nesso planimetrico atrio–cella, che riproduce l‘articolazione canonica dei pozzi sacri e delle fonti, nonché di altri analoghi edifici di culto, che si sviluppano esclusivamente sopraterra, oggi noti, con denominazione di Fulvia Lo Schiavo, come “rotonde”. Tra le fonti, sono senza dubbio esplicativi gli accostamenti con gli edifici di Su Lumarzu– Bonorva, di Frades Mereos–Ploaghe, di Monti ‘e Nuxi Esterzili,” di Molineddos e Su Musuleu–San Nicolò Gerrei, tutti contraddistinti da vestibolo rettangolare in asse con una celletta circolare, al pari dei sacelli più elaborati, quali Noddule– Nuoro e Su Tempiesu – Orune, dove si ha la presenza aggiuntiva dei gradini di raccordo.
In linea con l‘articolazione interna, il contorno perimetrale esterno della fonte di Puntanarcu restituisce una figura complessivamente oblunga e absidata nel fianco sud (m 4.25 di larghezza x 4,15 di lunghezza residua), data dalla giustapposizione in asse di un avancorpo rettangolare, comprendente il vestibolo, e di un corpo semiellittico, racchiudente la piccola cella. Entrambe le articolazioni si raccordano tra loro in maniera omogenea, con linea continua, senza stacchi, cioè, di segno retto–curvilineo, dando luogo ad un impianto planimetrico a mò di ferro di cavallo, compatto ed armonico nelle proporzioni (Fig. 2.2). Se il settore antistante, come detto, è mutilo, quello absidato si conserva per intero, nella relativa de finizione planimetrica, che, acquisita dall‘indagine archeologica alla sommità residua della struttura, consente di apprezzare l‘arco murario emergente per due–tre assise di conci.
Merita di essere sottolineata la presenza della definizione absidale esterna dell‘edificio, vuoi poichè essa non sempre è in opera nelle fonti, vuoi poiché a Puntanarcu la medesima definizione, in coerenza con la natura sacrale dell‘edificio, è resa con struttura isodoma ed il fatto riveste carattere di rarità, se non proprio di unicità.
Data la compiutezza anche del contorno absidale, la fonte di Puntanarcu è da immaginarsi resa a tutto tondo ed emergente con notevole spicco subaereo, vuoi nel prospetto frontale rettilineo, vuoi nel retroprospetto arcuato, dei quali forniscono attestazione i diversi elementi litici martellinati, in basalto e in trachite tufacea, presenti nell‘area.
Si registrano, infatti, molteplici conci a cuneo ed a T, con la faccia a vista sia piatta che convessa, cui si aggiungono dei conci tabulari, di forma rettangolare, a marcata sbiecatura in un lato lungo, come noti anche a Su Monte di Sorradile, ma soprattutto si enucleano, di distinto interesse, due conci tronco–piramidali, resi uno in trachite rossastra, l‘altro in trachite cinerino–grigiastra, i quali depongono a favore della presenza, nella fonte di Puntanarcu, di un prospetto frontale culminante a timpano, sull’esempio, come detto, del sacello di Su Tempiesu di Orune. I due conci, precisamente sovrapponibili, restituiscono di fatto l‘estremità apicale del frontone triangolare, che disegnano marginato nelle relative falde da una scorniciatura a robusto listello quadrangolare dagli spigoli vivi ed in notevole stacco sullo specchio murario. Nel piano alto ristretto del concio del fastigio si stagliano tre incavi rettangolari originari, disposti per intervalli ad interessare l‘intera faccia, due a sviluppo longitudinale, il terzo a disposizione trasversa, i quali, come noto, erano funzionali a ricevere le impiombature di fissaggio di lunghe spade bronzee votive. All‘apice del sacello di Puntanarcu è da immaginarsi, dunque, un elemento decorativo–simbolico, dato, come scrive il Lilliu per Su Tempiesu, da “un fa scio di fitte spade irte verso il cielo“.
Con analogo significato, di contro a Puntanarcu, nella sponda sinistra del Tirso, un coronamento di spade bronzee svettava nella spalletta della vasca–altare eretta al centro della camera rotonda dell‘edificio di Su Monte di Sorradile.
Se si tiene presente che i conci tronco–piramidali relativi al timpano delle facciate tem plari sono attestati in numero ben limitato, si spiega il rilevante interesse dei due elementi litici di Puntanarcu, grazie ai quali è dato avanzare, con larga, attendibile approssimazione, un‘ipotesi restitutiva del prospetto frontale originario del manufatto.
Fonte: Ginetto Bacco – Il sacello nuragico di Puntanarcu in territorio di Sedilo
Logos n°14 del 2010, a cura dell’associazione archeologica Iloi di Sedilo