Sorradile: domus de janas di Prunittu

 

 

 

Domus de janas di Prunittu, Sorradile

 

La necropoli a domus de janas di Prunittu sorge nelle immediate vicinanze della strada comunale asfaltata che collega l’abitato di Sorradile con il novenario campestre dl San Nicola. Il complesso, oggetto di studio da parte della Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari e Oristano dal 1980, situato all’altezza di m 350 circa s.l.m., è realizzato per escavazione dell’ampio bancone trachitico che sovrasta il rio Paule e si protende verso il fiume Tirso.

Vi si contano infatti almeno quindici ipogei, orientati a Sud-Sud-Est, affiancati o separati tra loro de brevissimi intervalli e aperti anche su piani sovrapposti, alcuni a pianta semplice dallo schema mono e bicellulare, altri di pianta complessa, pluriarticolata, notevolmente estesa. I portelli, per quanto è dato osservare, hanno stipiti finemente profilati sono spesso inquadrati da rincassi, funzionali ed ornamentali, recanti ancora ampie tracce di colore rosso. All’esterno degli ipogei, in prossimità degli ingressi, sono risparmiate, in gran numero, delle nicchie votive qualcuna interamente dipinta in rosso. I monumenti, di indubbio interesse nel contesto dell’architettura ipogeica della media valle del Tirso, sono tutti inediti e pertanto di estremo interesse per la scienza.

La necropoli può essere suddivisa in due gruppi ben distinti che, anche se viciniori, ricadono l’uno in località Prunittu (a S e SW) l’altro in località Aràccono (a N). Il primo consta, verosimilmente, di 15 tombe (differenti, oltre che dal punto planimetrico, per lo stato di conservazione) realizzate sul costone roccioso; il secondo comprende, anche in questo caso verosimilmente, 11 sepolture (differenti anch’esse, oltre che dal punto planimetrico, per lo stato di conservazione) individuate sulla sommità del pianoro. Queste ultime, a differenza delle prime che sono visitabili e di libera fruizione, si trovano all’interno di una proprietà privata, individuabili con difficoltà a causa della fitta vegetazione.

Il primo gruppo di ipogei, scavati sulla parete a strapiombo con ingresso a SSW, si aprono nella parete stessa a diverse quote rispetto al piano di campagna (da un minimo di m 0,60 ad un massimo di m 4,00) risultando che, in proporzione all’altezza, risultano difficilmente raggiungibili. In alcuni casi, anche a causa dei crolli e delle lesioni che interessano il versante, è possibile accedervi calandosi con molta difficoltà dal pianoro sovrastante. Ad altri ipogei, realizzati a metà costa, si arriva con l’aiuto di pedarole che non possono essere necessariamente ascritte alla fase di escavazione originaria della necropoli.

Soprattutto il versante meridionale, come accennato, è interessato da pesanti crolli (avvenuti in un lontano passato), da profonde fratture, e da un fenomeno di disfacimento “a scaglie” del bancone trachitico che, anche se nel tempo hanno conferito un aspetto caratteristico e unico al complesso, sono all’origine di un importante problema di conservazione delle strutture di difficile soluzione.

Lo schema planimetrico degli ipogei è prevalentemente pluricellulare a sviluppo longitudinale sul quale si innestano, in taluni casi, ampliamenti laterali a destra o a sinistra dell’asse principale. Il profilo di pianta delle celle è variabile: rettilineo, curvilineo, retto-curvilineo, mentre le pareti ed i soffitti presentano profilo rettilineo e gli angoli arrotondati.

Tra le sepolture di questo primo gruppo si segnala, per l’apparato decorativo e per la complessità e ampiezza della planimetria, la numero X che, non a caso, viene chiamata nella tradizione orale “Sa cresia” (la chiesa). Si tratta di un ipogeo pluricellulare formato da un ingresso a padiglione scoperto, un’anticella, a pianta trapezoidale irregolare e soffitto a spiovente unico, che conduce alla cella principale provvista di due portelli di ingresso uno dei quali, quello centrale, il più grande, è sormontato da una sorta di architrave ben squadrato di forma rettangolare realizzato in rilievo rispetto alla parete. Da qui si accede a tre celle realizzate in successione, ciascuna con il portello con cornice scolpita, mentre il portello più piccolo conduce a propria volta verso tre altre distinte celle.

In altri ipogei si ritrovano setti divisori scolpiti a rilievo, coppelle realizzate sul pavimento, focolari, portelli con cornice scolpita, rappresentazioni del soffitto a doppio spiovente con intradosso curvilineo. In un unico caso il portello d’accesso presenta tracce di pittura rossa all’esterno.

Le domus del secondo gruppo, fatta salva la presenza della vegetazione, sono più facilmente accessibili poiché scavate poco al di sopra del piano di campagna: presentano caratteristiche morfologiche e tecniche perfettamente congruenti con le precedenti ma si differenziano nettamente per il buono stato di conservazione e per la possibilità di ricognirle anche all’interno in condizioni quasi ottimali. Tra le altre in località Araccono si segnala la Tomba III: un piccolo padiglione di ingresso immette nella cella principale che si contraddistingue per il tetto a doppio spiovente, focolare al centro del pavimento, nicchia laterale con doppia cornice scolpita, portello nella parte di fondo, con solco di rincasso per il chiusino, sormontato dalla rappresentazione di un architrave (in cattivo stato di conservazione), coppelle sulle pareti. Due ipogei, inoltre, sono stati realizzati in rocce isolate di dimensioni.

Posteriormente al loro primo impianto (ascrivibile al Neolitico Finale sulla base delle evidenze strutturali e dei confronti bibliografici), gli ipogei, specialmente quelli compresi nel primo gruppo (Località Prunittu), sono stati riutilizzati e riadattati fino a tempi non troppo lontani da quelli attuali. Tracce abbondanti di rielaborazioni architettoniche volte ad aggiungere elementi decorativi, realizzare nicchie quadrangolari di dimensioni modeste o a modificare le volumetrie sono state associate nello studio di Sanna M., Sorradile. Riusi medievali della necropoli preistorica di Santu Nigola, a una supposta e non improbabile frequentazione in epoca bizantina o, comunque, relativamente seriore vista la presenza, a poco più di 500 metri a SW, della chiesa romanica di San Nicola cronologicamente ascrivibile alla prima metà del XII secolo e che le fonti riconducono al villaggio di Nurozo.

La destinazione d’uso degli ipogei nella fase di riutilizzo appena sopra descritta si può ipotizzare duplice: le nicchie quadrangolari possono aver assolto il ruolo di sepolcri rurali pertinenti a coloro che gravitavano intorno all’abitato di Nurozo, mentre gli ipogei che sono stati più pesantemente rimaneggiati potrebbero aver assunto la funzione di abitazione o ricovero, in entrambi i casi temporanei, legati ad attività agro pastorali che quasi certamente si svolgevano in quello stesso agro. La memoria dell’antico abitato sopravvive, oltre che nei documenti scritti, nel toponimo Nurozo che indica un’areale abbastanza contenuto sul quale insiste, tra l’altro, una fontana con abbeveratoio (il cui aspetto attuale risale a tempi abbastanza recenti) chiamata “sa fontana ’e Nurozo” individuabile a circa 150 metri in direzione W rispetto alla chiesa di San Nicola. Lo stesso Angius, nel 1849, scriveva: “… In diverse parti trovansi poi quelle caverne artefatte che diconsi domos de janas, e che noi abbiam riconosciuto antichissime sepolture. Alcune meriterebbero d’essere visitate, massime le maggiori, nelle quali ora i contadini conservano la paglia per il bisogno del tempo invernale. …”. Un secolo dopo dalle osservazioni dello storico cagliaritano a servizio di S. M. il Re di Sardegna, non solo gli ipogei in parola ma anche altri presenti nel territorio (necropoli di Sas Lozzas, domus de janas di Santu Cristos per fare degli esempi) venivano ancora utilizzati come riparo per cose, animali e persone impegnate nelle faticose attività legate al mondo agro pastorale.

Negli anni ’70 del secolo scorso, inoltre, sulla sommità del pianoro orlato dalle pareti che custodiscono gli ipogei di Prunittu era attiva una cava per l’estrazione di tufo trachitico da utilizzare come materiale da costruzione. I segni di tali lavorazioni sono ancora oggi visibili. Presso l’archivio corrente della Soprintendenza Archeologia belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna (Piazza Indipendenza, 7, Cagliari) sono custoditi gli atti che documentano l’attività della Soprintendenza mirata a salvaguardare la necropoli da eventuali danneggiamenti legati alla coltivazione della cava stessa

Il sito è stato dichiarato di interesse particolarmente importante ai sensi della Legge 1 giugno 1939 n. 1089 e in applicazione dell’art. 4 della stessa Legge con provvedimento notificato al Comune in data 7/08/1974, Prot. N. 1768, Pos. 756 – Soprintendenza alle Antichità delle Provincia di Cagliari. Nel documento si legge: “Oggetto: Sorradile (Cagliari) – Località “Prunittu” – Notifica per importante interesse archeologico. Ai sensi e per gli effetti della Legge 1 giugno 1939, N° 1089, e in applicazione dell’art. 4 della stessa Legge, si notifica che il terreno ubicato in località “Prunittu” di Sorradile, distinto in catasto al F. 10, mapp. 213 e 214, di proprietà di codesto Spett/le Comune, confinante con mapp. 261, 259, 212, strada vicinale, 33, 121, 122, 125, 127, 128, 130, 145 ,146, 147, 150, strada vicinale, ha interesse particolarmente importante ai sensi della citata Legge perché vi insiste una fascia archeologica interessata da “domus de janas” o tombe a camera di età cuprolitica.

FONTE: Relazione sui beni storico culturali ricadenti nel territorio del Comune di Sorradile
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