Necropoli di Santu Pedru, Alghero
La necropoli è situata sul versante Sudoccidentale del Monte Santu Pedru, un modesto rilievo trachitico di forma troncoconica, sulla cui sommità è presente un nuraghe monotorre con i resti di un villaggio.
Ad oggi essa è costituita da dieci tombe disposte in direzione Nord-Sud, lungo il pendio: hanno in comune la tipologia planimetrica, in genere con celle disposte secondo uno schema a “T” oppure a sviluppo centripeto, attorno ad un vano centrale.
Per dimensioni e monumentalità si distinguono la Tomba I, con le sue nove celle e il dromos lungo 16 metri (oggi tagliato da un tracciato stradale), e la Tomba III, con 13 celle, la più vasta di tutta la necropoli (161.46 mq), e il lungo dromos ristrutturato in tecnica megalitica.
Gli accessi agli ipogei sono caratterizzati dalla presenza del corridoio orientato a Sud, ma in un caso a Sud-Ovest (Tomba X).
Alcune tombe si distinguono per la presenza, all’interno, di elementi architettonici che rimandano ad edifici del mondo dei vivi, quali pilastri (Tombe I, III, X) o colonne (Tomba II) risparmiati nella roccia, rilievi di zoccolature, stipiti, lesene, sovente dipinte di rosso (Tomba VI).
Non mancano elementi simbolico-rituali, come le protomi scolpite nella camera principale della Tomba I, le false porte delle Tombe I, III e X, il focolare in rilievo nel pavimento della Tomba X e le coppelle della Tomba III.
Dall’analisi dei dati di scavo si è potuto appurare che tutti gli ipogei hanno avuto un lungo periodo di frequentazione, talvolta con manomissioni delle strutture, le più evidenti delle quali si riscontrano. nella Tomba IV, trasformata tra il VI e il VII secolo+in una chiesa rupestre dedicata ai santi Pietro e Lucia.
La necropoli venne scoperta casualmente nel 1959 in seguito ai lavori di messa in opera dell’acquedotto di Alghero, che intercettò la Tomba I poi scavata da Ercole Contu il quale documentò una sequenza stratigrafica considerata, ancora oggi, una delle più complete e importanti della preistoria sarda. L’indagine ha restituito numerosi materiali archeologici che hanno permesso di attestare una lunga frequentazione dell’ipogeo, dal momento del primo impianto durante la cultura di Ozieri, con successivi riutilizzi eneolitici del Filigosa-Abealzu, Monte Claro e Campaniforme, all’ultima fase durante la cultura di Bonnanaro, nel Bronzo antico. L’eccezionale qualità dei materiali fittili Campaniformi e, in particolare, la presenza di vasi tetrapodi, hanno suggerito per la Tomba I l’appellativo di “Tomba dei vasi tetrapodi”.
Altri scavi furono condotti a più riprese da Alberto Moravetti tra il 1989 e il 1995 nelle Tombe II, III, V e VII. Infine, la Tomba X è stata oggetto di scavo archeologico da parte di Paolo Melis nel 1995, il quale ha documentato una prima occupazione durante il San Ciriaco, fino ai successivi riutilizzi durante l’Eneolitico, il periodo nuragico e l’età storica.
Nella necropoli di Santu Pedru la presenza di ambienti con pilastri preceduti da un’anticella documenta il modulo architettonico abitativo utilizzato dalle comunità neo-eneolitiche. Elementi magico religiosi, protomi taurine, false porte, focolari e l’uso del colore rosso, attestano un apparato simbolico che doveva accompagnare e custodire l’esistenza ultraterrena dei defunti.
Testo tratto da “La Sardegna Preistorica” , a cura di Alberto Moravetti, Paolo Melis, Lavinia Foddai, Elisabetta Alba
https://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/17_27_20180612094927.pdf
La Tomba dei Vasi Tetrapodi
Si trova lungo la strada Alghero–bivio Uri, subi to dopo il bivio per Olmedo. Scoperto casualmente nel 1959, questo ipogeo fa parte, con altri quattro o cinque, accessibili da tempo o per lo più ancora da mettere in luce, di una piccola necropoli ricavata sul fianco di una collina tufacea trachitica.
Al momento della scoperta la tomba era ancora sigillata con lastre a coltello e muro di macerie ad opera delle ultime genti (quelle della cultura di Bonnànnaro) che l‘avevano usata per sepoltura.
Lo scavo rivelò un monumento particolarmente interessante e non privo di una certa grandiosità. Esso si inquadra comunque in una tipologia, piuttosto diffusa specie nella Sardegna centro settentrionale, che presenta un grande vano di disimpegno generalmente rettangolare circondato da una serie di ambienti o celle minori e preceduto da un‘anticella semicircolare. In questo caso si giunge all‘anticella attraverso un dromos ascendente (orientato a sud) lungo circa 16 m, mentre l‘insieme dei vani tombali si stende entro uno spazio di circa m 13 x 15. Le celle, fra grandi e piccole, sono in numero di nove. La cella principale, che ha forma di un quadrilatero irregolare, è larga m 3,50 circa e lunga m 6 circa, alta circa m 2. Essa presenta nel mezzo, ricavati nella viva roccia, due pilastri rettangolari che reggono una volta piana.
La cella semicircolare (che reca sulla volta tracce della riproduzione del tetto a raggiera ed è decorata sulle pareti da uno zoccolo e da paraste) ha il diametro di m 5; l‘altezza massima è di m 3,10. Molti fra i portelli presentano «mostre» ispirate all‘architettura trilitica. Del portello (con tracce di pittura in rosso) che dà sulla cella maggiore si rinvenne anche il doppio sportello sagomato di trachite. Al centro della parete di fondo di questa cella è la riproduzione in rilievo di una falsa–porta.
Doppie corna, somiglianti a quelle minoiche, decorano l‘ingresso ad una piccola celletta laterale sulla destra del vano principale. Corna capovolte decorano il portello di una delle celle più interne sul lato opposto.
Sul fianco destro del dromos si ebbe, rovesciato a terra, il probabile segnacolo dell‘ipogeo: un blocco trachitico trapezoidale lungo m 2,30.
L‘interesse di questa scoperta non si limita al solo monumento, in quanto si poterono catalogare ben 447 reperti (senza considerare gli scarti meno significativi). Essi interessano soprattutto ceramiche delle seguenti culture: S. Michele, Filigosa (graffita), Abealzu, M. Claro, Vaso Campaniforme, Bonnànnaro e, superficialmente, all‘esterno anche tipiche ceramiche nuragiche.
Tanto nel dromos che soprattutto nella cella semicircolare si poté riscontrare che i resti culturali erano stratificati nell‘ordine sopra esposto. Si tratta della prima significativa stratigrafia in tomba. La cultura di San Michele, che riguarda la prima utilizzazione dell‘ipogeo, è scarsamente rappresentata, mentre lo sono in misura notevolissima sia quella di Filigosa e Bonnànnaro che il Vaso Campaniforme.
Le ceramiche della cultura del Vaso Campaniforme (sia i tipici vasi a calice che due grandi cuencos emisferici tetrapodi) si rinvennero in posizione quasi sempre originaria nel pavimento della cella maggiore e delle celle interne d ed h.
I vasi della cultura di Bonnànnaro (spesso perfettamente conservati) si ebbero invece soprattutto nella cella semicircolare.
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Bibliografia
- E. Contu, La tomba dei Vasi Tetrapodi, in «M.A.L.», XLVIII
- 1964. Id., Elementi di architettura prenuragica, in «Atti del XIII Congresso di Storia dell‘Architettura>>, 1966, pp. 94–100. G. Lilliu, Civiltà dei Sardi, 1975, Torino, 1980.
Autore: Ercole Contu
Testo tratto da: I Sardi – La Sardegna dal Paleolitico all’Età Romana