Domus de janas di Is Aruttas o Monte Olladiri, Monastir
L‘area archeologica di M. Olladiri è ubicata alla distanza di circa tre chilometri dall‘abitato di Mo nastir (a sud/sud–est). Per raggiungerla si devia all‘altezza del km 17,500 della S.S. 131 «Carlo Feli ce», sulla strada campestre che, costeggiando il Rio Gora Arriabis, ora parzialmente incanalato, conduce alla cava di pietrisco trachitico situata nel rilievo più alto (che raggiunge m 235) del gruppo collinare da cui deriva il nome della località. La zona archeologica è costituita da un insediamento, durato dal Neolitico all‘Età medievale, comprendente la parte meridionale del rilievo più alto, l‘insellatura compresa tra quest‘ultimo e la bassa collina di Is Aruttas (m 160) e infine il dolce declivio delle località Is Fogaias e Matzeddu sino al Rio Gora Arriabis. Oltre al nucleo abitativo vanno segnalate, nell‘ambito dell‘area archeologica, le 5 tombe ipogeiche prenuragiche, scavate sul versante orientale di Is Aruttas, i ruderi del castello medievale fatto costruire nel secolo XII dai conti pisani della Gherar desca e infine la necropoli romana « alla cappucci na» di Matzeddu (terreno Aymerich).
Ad interessarsi per primi del M. Olladiri, nella prima metà dell‘Ottocento, furono il Lamarmora, che ne studiò le caratteristiche geologiche, e V. Angius che citava i ruderi del castello di Baratuli, già menzionato dal Fara nel 1500. Dal punto di vista paletnologico, alla fine del secolo scorso indirizzarono la loro attenzione verso questa località il Loddo e il Mannai, i quali individuarono 4 dei 5 ipogei del tipo «domus de janas» nel colle Is Aruttas (il quinto fu segnalato da E. Atzeni). Il Lovisato e questi studiosi segnalarono anche numerosi manufatti litici, tra cui varie asce e teste di mazza, inseriti successivamente nelle belle illustrazioni del testo di C. Zervos dedicato alla civiltà della Sardegna.
Le prospezioni in superficie condotte nel 1957 da E. Atzeni e, dal 1967 sino ad oggi, dall‘Autore di questa scheda, hanno consentito l‘individuazione di 163 capanne, sacche ed edifici pertinenti a varie fasi culturali. Attraverso queste ricerche è stato possibile ricostruire le vicende dell‘insediamento. L‘abitato, sorto come un vasto agglomerato di capanne seminterrate durante il Neolitico recente (Fase Ozieri — fine IV millennio a.C.) si è ulteriormente sviluppato nell‘Età del Rame con le fasi Abealzu e soprattutto M. Claro, durante le quali il villaggio ha assunto una considerevole importanza ed estensione. Dopo una sporadica testimonianza delle fasi Campaniforme e Bonnànnaro (capanna in regione Matzeddu), l‘abitato riprende vitalità durante il periodo nuragico del Tardo Bronzo e dell‘Età del Ferro, per perdere di nuovo importanza nella fase nuragica finale (Fase Orientalizzante e Arcaica) ed è frequentato solo sporadicamente in Età punica. Durante l‘Età romana si sviluppa l‘agglomerato di Is Fogaias–Santu Sadurru, di cui sono testimonianze i resti di un edificio monumentale (Santu Sadurru) e i manufatti ivi rinvenuti fra cui una colonna in calcare e una stadera romana in bronzo e le tracce superficiali di una necropoli.
Tra i reperti più considerevoli provenienti dall‘insediamento si ricordano: la testa di una statuina marmorea di Dea Madre (tipo Sa Turriga); un pane di piombo con lettera incisa da una capanna nuragica, il vasellame impresso o dipinto a ban de della Fase Arcaica del Nuragico Finale (in parti colare quello di importazione e di imitazione greco orientale ); i numerosi manufatti litici e fittili (riferibili alle fasi Ozieri, Abealzu, Monte Claro, Campaniforme e Bonnànnaro).
Nel 1969 fu effettuato l‘unico saggio di scavo dell‘area archeologica, nella particella 37; esso consentì la parziale messa in luce di un edificio nuragico dell‘Età del Ferro a più vani (no 160), costruito sopra una capanna prenuragica (no 160 A), poi reinterrato in attesa di un‘intervento di scavo e di recupero sistematico.
Oltre ai resti del castello medievale di Baratuli, che secondo l’Angius era di forma quadrata, si possono tutt‘ora visitare le cinque tombe ipogeiche del tipo «domus de janas» scavate sul versante sud–orientale del suggestivo colle di Is Aruttas da cui si possono osservare a sud le graziose chiese romaniche di Santa Lucia e di San Gemiliano di Sestu, nel raggio di tre chilometri.
Ecco i dati essenziali sulle singole tombe, aventi tutte, un ingresso orizzontale rivolto in direzione est–sud–ovest. I portelli sono del tipo quadrangolare o trapezoidale con o senza risega. Considerata la semplicità delle planimetrie e delle volte, gli ipogei riproducono gli ambienti delle capanne ipogeiche dei tempi neolitici e calcolitici.
Domus 1 (Loddo–Mannai).
Dromos e pareti concave, cella irregolar mente ellittica, quasi semicircolare ed a volta piatta. Ingresso volto a est. Misure: dromos lungh. m 1,33, largh. m 1,8,h. m 0,85; cella; lungh. m 1,45, prof. m 1,10, h. m 0,80
Domus 2 (Loddo–Mannai).
Dromos, anticella e cella con pareti con cave e volte piane; sulla parete della cella prospiciente all‘ingresso abbozzo di portello per una nuova cella. Sopra il portel lo, canaletto orizzontale per il deflusso delle acque piovane. Altro canaletto alla base del portello e dell‘anticella. Ingresso a est. Misure: dromos, lungh. m 0,70 x 0,55 x 0,88; anticella m 1,25 x 1,80 x 0,95; cella, 2,80 x 2,80.
Domus 3 (Loddo–Mannai).
Dromos, anticella simile alla precedente e cella di forma circolare, volte pianeggianti. Ingresso a sud–sud–ovest.
Domus 4 (Loddo–Mannai).
Dromos rettangolare, con portello pure rettangolare che conduce all‘anticella dove si aprono due portelli da cui si accede ad una cella allungata, in origine bipartita. Volte piane. Ingresso a sud–est.
Domus 5 (Atzeni).
Breve dromos irregolarmente semicircolare, anticella di pianta ellittica, cella di pianta trapezoidale, quasi in asse con la precedente, con uno dei due lati lunghi ricurvo. Pavimento della cella leggermente rialzato a quello dell‘atrio e dell‘anti cella; volte piane, leggermente ricurve; ingresso a sud. Misure: dromos m 0,96 x 0,60 x 0,89; anticella m 2,10 x 1,50 x 0,88; cella 2,95 x 3,20 x 1,05.
Bibliografia:
Loddo–Mannai «B.P. L.», 1902, p. 195 ss. Id. «Not. Scavi», 1903, p. 97 ss.
E. Atzeni «Studi Sardi», 1955–57, p. 74 ss. Id. «Studi Sardi», 1959–61, p. 114 ss.
G. Ugas Un contributo alle ricerche paletnologiche sul M. Olladiri di Monastir, tesi Univ. Cagliari. A.a. 1969–70; Id.,
La ceramica di M. Olladiri e attestazioni greco–ioniche, etrusche e fenicie in contesti nuragici della Sardegna meridionale. «Atti della Tav. rotonda di Nuoro 17/21.1.1981».
G. Lilliu La navicella in bronzo protosarda da Gravisca, «Not, Scavi», VIII, 1971, p. 289, ss.
Autore: Giovanni Ugas
Testo tratto da: I Sardi – La Sardegna dal Paleolitico all’Età Romana