Ulìana – Oliena: area archeologica di Sa Sedda ‘e Sos Carros

 

 

Area archeologica di Sa Sedda ‘e Sos Carros, Oliena

 

 

Come arrivare:

Da Oliena si procede in direzione sud da viale Italia verso la SP 22. Si prosegue per circa 550 metri sulla SP 22 e ci si immette a sinistra nella SP46. Si percorrono circa 5,8 km, poi si svolta a destra. Percorsi altri 2,5 km si svolta ancora a destra e si continua per altri 7 chilometri circa, fino ad arrivare alla biglietteria del sito. Coordinate:  40°15’29″N 9°29’9″E

 

Nella Valle di Lanaitho delimitata dai monti di calcari mesozoici noti come le Dolomiti di Sardegna, una spettacolare geomorfologia ha creato ambienti favorevoli all’insediamento umano, già dal Paleolitico superiore, come ben documentato nella Grotta Corbeddu rifugio dell’omonimo bandito

Questo straordinario contesto naturale si raggiunge percorrendo l’antica carrareccia denominata Su Passu malu per la pericolosa ripidezza, costeggiando il sottostante fiume Cedrino sovrastato dagli spettacolari basalti colonnari di Ganagosula che delimitano il Gollei, nome tipico del dialetto nuorese per denominare gli altipiani

La vallata ospita il singolare villaggio nuragico di Sa Sedda e sos Carros (m 300 s.l.m.), toponimo che ricorda un’antica economia legata alla selvicoltura, alla produzione e al trasporto del carbone che integrava il sistema produttivo locale prevalentemente agricolo e pastorale

I primi scavi condotti nel sito nel 1977 hanno messo in luce un agglomerato di ambienti con ingressi aperti su un unico grande cortile attraversato da un ampio canale di raccolta delle acque piovane, accessibile attraverso un vestibolo rettangolare con sedili laterali in calcare e basalto. Si tratta di un’insula abitativa, tipica di gran parte dei villaggi nuragici del Nuorese che non gravitano intorno ad un nuraghe, sul modello del noto villaggio di Barumini, ma nascono e si sviluppano senza la presenza del l’edificio turrito

Una scala di lastre di calcare locale ancorate perfettamente alla forre pendenza della parete pedemontana del Monte Uddè (altezza massima 909 s.l.m.), collegava il complesso di capanne con altri ambienti soprastanti

La fonte sacra 

La successiva campagna di scavo del 1995 ha rivelato la presenza, all’interno dell’isolato, di un ambiente circolare (diam. m 2,50; alt. residua m 1,80) interamente realizzato con conci di basalto cavato e trasportato dall’altopiano basaltico del Gollei

Il pavimento è costituito dal piano naturale di calcare posto in leggera pendenza, mentre l’ingresso, che conserva parte degli stipiti, è delimitato da una soglia in basalto con listello in rilievo

L’alzato del vano è formato da filari di conci di basalto sui quali si aprono nicchie triangolari, disposte in due ordini sovrapposti e sfalsati, che potevano essere usate per poggiarvi offerte oppure oggetti liturgici. Un filare di conci di calcare con superfici ben lavorate, a m 1,05 dal piano del pavimento, conserva sette delle originarie nove protomi di muflone o di ariete scolpite ad altorilievo. Alcune con corna non ricurve hanno piccoli fori sui quali si inserivano colombelle poggianti su una verga di bronzo. Le protomi hanno in corrispondenza della bocca un foro passante collegato ad un canale circolare interno alla muratura, pianoconcavo.

I conci sono tenuti aderenti tra loro da grosse saldature di piombo, colate durante la messa in opera e ancora funzionanti, destinate a garantire una maggiore stabilità della muratura e a impedire la dispersione idrica

La presenza ricorrente della figura dell’ariete e del muflone nei monumenti di uso cultuale del Bronzo finale, rimasti in uso anche nella successiva età del Ferro, e la grande produzione bronzea di soggetto teriomorfo offerta nei templi e nei santuari, suggerisce l’esistenza di una divinità salvifica fortemente legata ai riti fertilistici, simbolicamente rappresentata proprio dall’ariete. Rappresentazioni della capra e dell’ariete trovano numerosi riscontri in contesti preelladici come espressione della madre terra

La parte terminale del muro della fonte è sormontata da piccoli blocchi di basalto con faccia a vista obliqua, sistemati come mensole aggettanti. La loro posizione non consente di ipotizzare l’antica presenza di una copertura a tholos tradizionale fatta di elementi lapidei; sembra più probabile l’ipotesi di una chiusura mobile di leggere strutture lignee o l’uso di un baldacchino facilmente rinnovabile

Sul lato sinistro, a m 1,20 dal pavimento, poggia una doppia vasca ret- tangolare in trachite (lungh. m 1,16; largh. m 0,88; alt. m 0,50) suddivisa da un setto con foro originario saldato da un tappo di piombo probabil- mente dopo la rottura di una delle vasche; un secondo foro pervio è realizzato sulla vasca integra

Lungo la circonferenza interna dell’ambiente poggia una panchina di blocchi di basalto, ben lavorati a scalpello e forniti di leggera modanatura, che segue perfettamente il profilo della parete

Al centro del vano è collocato un grande bacino realizzato da un unico blocco di arenaria (diam. m 1,70/1,40; alt. m 0,45) con larga conca dalle superfici levigate e con bordo alto e orlo arrotondato che poggia su una base cilindrica. Piccole verghe di bronzo sostenevano colombelle infisse nei fori praticati sul bordo del bacile

L’acqua poteva raggiungere questo bacino centrale attraverso la spinta data dagli ugelli inseriti nei fori delle protomi collegate al canale anulare interno alla muratura mentre un foro pervio, praticato sotto il bordo del bacile, la faceva defluire in un canale che sfociava nel paramento murario sottostante, fornito di ampia apertura architravata (largh. m 1) destinata anche alla raccolta delle acque piovane.

Un antico dissesto del muro del tempietto in opera isodoma e la rottura dei bordi del bacile provocati forse da un’alluvione e dal violento ruscellamento dei detriti provenienti dal versante soprastante che ha causato l’irreparabile ostruzione dei canali di alimentazione rese necessario un intervento di parziale recupero del monumento che abbandonò, in modo graduale e definitivo, la sua originaria destinazione cultuale

Il vano della fonte infatti venne usato successivamente come grande ripostiglio che ha restituito circa 150 chili di oggetti in bronzo frammentari, accumulati in attesa di essere trasferiti in un’officina fusoria per un nuovo ciclo di lavorazione.

Lo scavo ha scoperto alla base del sedile numerose navicelle danneggiate o frammentate con balaustre triangolari o con figure di cane; altre con protomi bovine e scafo danneggiato sono state riutilizzate sostituendo l’anello originario di sospensione e inserendo, nei fori fatti sullo scafo, verghe di bronzo o lunghi chiodi con capocchia schiacciata

Alcune barchette con scafo conservato parzialmente, avevano dimensioni considerevoli (lungh. cm 25) e protomi di cervo e di muflone pregevoli per l’accurata esecuzione dei particolari della testa e delle coas realizzate probabilmente da abili artigiani fusori che operavano sul pc. Il ripostiglio conteneva numerose lamine accartocciate di bacini i sferici, un inconsueto askos in lamina bronzea con manico posto fra barche di versamento diametralmente opposte una delle quali con col cilindrico e orlo svasato e l’altra con protome taurina di eccezionale pregio artigianale che può aver tratto ispirazione da modelli di produzione cipriota

Tra i materiali erano compresi vaghi di collana d’ambra e un pezzo di ambra baltica non lavorata

La gran parte del ripostiglio era composto da frammenti di asce, picconi, punte e puntali di lancia, numerose fasce d’immanicatura per armi da lancio, attacchi a tripla spirale di manici di bacini tipici della produzione cipriota, spilloni a sezione circolare e quadrata con punta assottigliata e con elaborate capocchie, pendagli ancoriformi, piccoli strumenti uncinati, numerosi frammenti di panelle in rame ed altri pezzi di bronzo che non permettono di risalire agli oggetti originali

All’esterno del tempietto, vicino all’ingresso, si conserva la base di un focolare, simile ad un piccolo forno, contenente resti di cenere, frammenti ossei di animali e piccole colate di piombo usate in grande quantità per l’esposizione dei bronzi votivi e probabilmente per piccoli sacrifici

Da un ambiente con pavimentazione lastricata e nicchia architravata contiguo al tempietto e compreso nell’isolato di capanne che si affacciano sul cortile, provengono diversi piccoli boccali ansati con superfici grezze ed impasti poco depurati, usati forse per raccogliere l’acqua che usciva dai doccioni della fonte. La nicchia ha restituito diversi frammenti di bacini di bronzo uno dei quali ornato da una palmetta di tipo orienta- lizzante con due fori che alloggiavano i ribattini di fissaggio

L’esplorazione di un secondo ambiente circolare collocato sul lato opposto alla fonte ha restituito, sotto i crolli della muratura molto alta, cinque blocchi di trachite frammentati appartenenti ad un’ara ellittica (m 1 x 0,90 x cm 5) con ampia conca centrale rialzata e due fori passanti diametralmente opposti, quattro piccole conche contornate da ghiera circolare, disposte lungo la circonferenza. La singolare mensa era sostenuta da un piede a sezione ellittica (alt. cm 30) collegato con i fori aperti al centro della conca e destinati allo scolo dei liquidi

Non si può escludere che i nuragici, dopo l’irreparabile dissesto della fonte, abbiano trasferito all’interno di quest’ambiente alcuni arredi liturgici destinati a garantire una continuità alle pratiche legate al culto delle acque evitando così l’abbandono del tempietto frequentato dagli abitanti delle insulae circostanti. Dallo stesso ambiente provengono, infatti, diversi oggetti strettamente legati alle pratiche religiose: un frammento di mo- dellino di nuraghe in calcare, un basamento per le offerte in basalto con le colate di fissaggio di dieci spade votive e un’altra base con fori exvoto conservati all’estremità del blocco

La presenza di spade bronzee nei più importanti luoghi di culto dedicati alla divinità delle acque rafforza l’ipotesi, già proposta in passato da diversi autori e condivisa da chi scrive, che le armi venissero considerate come simbolo di una divinità ctonia, legata al mondo dei guerrieri defunti trasformati in eroi rappresentati nella bronzistica votiva. L’acqua che sgorga dal sottosuolo si trasforma in elemento essenziale nei processi di rigenerazione e purificazione e viene considerata come simbolo di vita nei cicli biologici della natura

Il vano ha restituito inoltre pochi frammenti ceramici riferibili a contenitori del Bronzo finale ed un singolare bottone o pendaglio di bronzo che rappresenta un miniaturistico scudo a forma di pelle di bue –  tipica dei lingotti di rame oxhide d’importazione egea , con perfetta esecuzione dell’intelaiatura posteriore che teneva in tensione la pelle dello scudo

Sul lato sinistro dell’ambiente si conservano due vani, posti su un livello più alto rispetto al piano del cortile; in questo settore la tessitura muraria degli alzati mostra diversi cedimenti, antichi intervanti di consolidamento e l’aggiunta di un piccolo vano privo d’ingresso utile come silos o come ripostiglio

Nell’autunno 2002 nuove ricerche condotte nel tentativo di comprendere le complesse problematiche legate alla captazione dell’acqua in un ambiente di calcari mesozoici ricco di grotte, anfratti e fiumi sotterra- nei hanno consentito di osservare la direzione del violento ruscellamento acque piovane che, nei mesi invernali, discende lungo la parete rocciosa del tratto pedemontano del Monte Oddè riempiendo due piccole voragini poste a monte del villaggio nuragico

La possibilità di utilizzare una ricca riserva idrica, anche solo per alcuni periodi dell’anno, in un territorio calcareo che non trattiene a lungo le acque piovane, può aver giustificato lo sforzo sostenuto dalle comunità nuragiche per la realizzazione di un impianto idraulico molto complesso forse alimentato da riserve sotterranee collegate alla vicina grotta di Sa Oche, nota per il traboccamento del fiume interno dopo piogge molto abbondanti

La vasca rituale 

Una trincea aperta nell’area di pendio sovrastante la fonte, piuttosto scoscesa e caratterizzata dalla presenza di blocchi di basalto bolono perfettamente squadrati e con appendici mammelliformi, ha messo in luce un ambiente circolare (diam. massimo m 6,10) delimitato da decine di conci di basalto di diverse dimensioni, disposti a gradoni e magistralmente adattati all’irregolare piano di posa

I blocchi lavorati con diversi scalpelli in bronzo, hanno forma a Te a cuneo con leggera curvatura nella faccia a vista, una lavorazione, ben documentata in altri edifici nuragici di tipo isodomo, che garantiva l’equilibrio della muratura resa solida dall’incastro alternato dei conci e dall’uso del piombo. La mancanza di uniformità nell’altezza e nella curvatura dei conci non esclude che una parte di essi provenga dal riutilizzo di materiali appartenenti ad un edificio più antico smontato e modificato. L’ipotesi sembra trovare conferma nella presenza di grandi blocchi di basalto, con appendici sulla faccia a vista, all’interno delle capanne sottostanti e privi di una plausibile collocazione

Il piano pavimentale della vasca gradonata conserva tratti dell’originario vespaio compatto di piccole pietre calcaree e lembi di un battuto d’argilla che ne impermeabilizzava il fondo

La scoperta del nuovo bacino per le abluzioni trova confronti in altri santuari che mostrano analoghi sistemi progettuali a riprova dell’attitudine degli architetti nuragici nel progettare complessi impianti idraulici legati ad un rituale delle abluzioni che consentiva l’immersione dei fedeli durante i riti ordalici

La costruzione delle vasche può essere collocata nelle fasi iniziali del Bronzo finale con continuità d’uso ancora nell’età del Ferro (1200-800 a.C.), periodo al quale risale la realizzazione di simboliche vasche miniaturistiche con coronamenti raffiguranti torri di nuraghe ma non collegate ad impianti idraulici

L’esplorazione dell’area circostante la vasca ha portato al rinvenimento di un vano trapezoidale (m 2,30 x 3,40; alt. m 2,60), adattato abilmente ad un terrazzamento naturale, posto sotto il bacino gradonato e anticamente accessibile in corrispondenza del quinto gradone della scala

L’ingresso immetteva in uno stretto corridoio lastricato che conserva in situ due lastre dell’originaria copertura

Lo strato più profondo, sigillato da pietrame calcareo e da blocchi lavorati in basalto, conteneva un’olla a colletto frammentaria e alcuni frammenti di tegame con decorazione a pettine impresso riferibili alla frequentazione più antica dell’abitato durante il Bronzo medio evoluto e il Bronzo recente (1500-1300 a.C.); nella fase più recente del Bronzo finale, l’accesso venne murato e il piccolo ambiente si riempi di materiali di crollo che contenevano due grandi brocche piriformi della prima età del Ferro (IX sec. a.C.)

Nel corso della campagna di scavo, nello spazio compreso fra la vasca e la fonte sono stati rinvenuti diversi sistemi di livellamento del piano di roccia irregolare, ottenuti attraverso la sistemazione a gradoni di lastre piatte calcaree che facilitavano l’accesso agli ambienti sottostanti. In alcuni tratti gradonati sono stati inglobati anche alcuni conci a coda in basalto bolloso recuperati e riutilizzati, nel corso di fasi edilizie successive, leggibili soprattutto in un vano di passaggio

L’abbassamento del livello di scavo in prossimità della fonte ha evidenziato la presenza nella roccia calcarea di una conca naturale che è stata impermeabilizzata con uno strato consistente di argilla battuta così da trattenere più a lungo l’acqua

Da questa partiva una canaletta scavata nella roccia calcarea e delimitata da blocchi scanalati, posti ad incastro, che portavano l’acqua fino all’imbuto di alimentazione del canale circolare interno alla fonte sacra, conservato nella sua antica collocazione grazie all’impiombatura di bloccaggio,

Nell’area a monte dell’insula è stata esplorata una capanna costruita sopra strati più antichi che hanno contribuito a sollevare l’attuale piano di calpestio di circa m 1,20 rispetto al livello di roccia naturale

La capanna (diam. m 4,20), con ingresso fornito di soglia di lastre calcarce ricoperte da strati di argilla, conserva all’interno un focolare non definito contenente resti di cenere, ossa combuste, frustoli di argilla bruciata e frammenti di tegami, ciotole, scodelle e olle con orlo ingrossato a sezione angolata databili alle fasi iniziali del Bronzo finale. I vasi erano associati a resti di pasto composti da ossa di suini, caprini e bovini allevati nella valle e di piccoli animali facilmente reperibili. Sorprende il ritrovamento di abbondanti frutti di mare- come gusci di telline, patelle e altre conchigliea dimostrazione che i nuragici di Lanaitho conoscevano perconi idonei a raggiungere la costa in tempi brevi così da poter consumare cibi facilmente deperibili

Nuovi interventi condotti all’interno dell’insula hanno consentito di esplorare altri ambienti di pianta rettangolare irregolare definiti dal grande muro di cinta esterno e da brevi tratti di muratura ciclopica che ne delimitano l’ingresso sul cortile centrale. Uno degli ingressi venne chiuso in una fase edilizia più recente, quando l’ambiente annesso, forse coperto da un tetto a spiovente unico, fu diviso da un tramezzo di piccole pietre incoerenti rivestito da un consistente strato di argilla. Lo stesso materiale componeva anche i diversi livelli di battuto pavimentale caratterizzati da evidenti segni di combustione

Completa la serie degli ambienti che si affacciano sul cortile un vano di forma irregolare, delimitato da un tratto di muro di cinta, rivestito all‘interno da un muro di pietre più piccole che ha nascosto un antico passaggio aperto sul vestibolo di accesso al cortile

Anche questo ambiente conservava all’interno, sul lato sinistro, un grande focolare con diversi strati di cenere e argilla concotta. Alla base del muro, sul lato destro, erano collocati tre blocchi di calcare residui di una panchina che poteva essere usata anche come piano d’appoggio. Si ritiene che l’accesso potesse essere chiuso da una porta di legno con elementi assemblati da tredici chiodi in bronzo e due in ferro trovati proprio in corrispondenza dell’ingresso

L’importanza del vano è data dalla grande quantità di materiali pregevoli recuperati: spiccano tra gli altri una porzione di navicella dalla protome animale con palco di corna inusuali palmate e ramificate, tre frammenti di bacini di bronzo uno dei quali decorato da linee parallele incise sotto l’orlo, l’altro con piccola ansa ad anello e il terzo con ansa a maniglia  frammenti di panelle, un pugnale, porzioni di lamine in bronzo di originari contenitori simili a quelli già documentati negli scavi precedenti e fibule ad arco ingrossato. I materiali ceramici, trovati in grande quantità, mostrano poca cura nella composizione degli impasti e un’esecuzione sommaria. Si riferiscono ad anfore e brocche di piccole dimensioni di forma aperta con colli poco definiti e anse a sezione circolare, ellittica e piano convessa; un frammento di vaso dipinto con fasce parallele di colore rosso è d’importazione orientale

I nuovi scavi 

Completata l’esplorazione delle capanne dellinsula affacciate sul cortile le ricerche si sono ampliate all’area intorno alla fonte, al fine di preparare i basamenti di sostegno per la nuova copertura di travi di legno che rico- struisce ipoteticamente quella antica

La rimozione dei crolli ha liberato un imponente muro in opera ciclopica che raggiunge un’altezza di m 3,10 su sette filari di blocchi poligonali di calcare locale. In corrispondenza del terzo filare sono visibili alcuni canali di scolo, uno dei quali collegato al canale che attraversa il cortile centrale dell’agglomerato di capanne (alt. m 1 x m 0,70) e l’altro al canale che raccoglieva le acque della fonte circolare, scaricandole attraverso un foro passante in un canale che scorreva sotto il piano pavimentale

Diverse capanne furono costruite alla base esterna del muro ciclopico e adattate alla superficie irregolare e molto scoscesa di roccia calcarea, lasciata come piano pavimentale degli stessi ambienti

La capanna più grande è costruita a ridosso di un’antica darica composta da ceneri, frammenti fittili e soprattutto resti di pasto saricati in grande quantità dal muro dellinsula soprastante tanto da sollevare il piano di campagna di m 1,50 circa sul livello di roccia affiorante

I materiali ceramici datano l’impianto della capanna tra il Bronzo recente e il Bronzo finale. Si tratta di frammenti di tegami di diverse dimensioni, ansati o con presa a lingua, raramente decorati sul fondo con impressione a pettine. Sono inoltre presenti, nelle fasi successive e in strati non livellati, numerose olle a colletto, ciotole carenate di forma aperta semplici e con decorazioni plastiche, olle con anse a gomito rovesciato e brocche piriformi e askoidi con anse ornate da motivi geometrici. Non mancano gli strumenti di uso quotidiano come pestelli e coti, lisciatoi rettangolari con impugnatura forata, fusaiole fittili

L’agglomerato di capanne con ampio vestibolo, posto su un livello più alto, era collegato alle capanne sottostanti da una serie di gradoni ottenuti con lastre piatte di calcare e di basalto adattate perfettamente al dislivello del terreno

Lo scavo in questo settore ha permesso il ritrovamento di diversi blocchi di basalto bolloso perfettamente lavorati, con incastri laterali e in corrispondenza delle code, riferibili alla complessa composizione architetto nica di un edificio preesistente non ancora precisabile

La scoperta dei nuovi blocchi ripropone il problema della ricostruzione delle strutture comprese nel sito e del riutilizzo di elementi architettonici riadattati nei rifacimenti successivi che mostrano, solo in parte, l’originaria imponenza del complesso architettonico

Sempre in corrispondenza del passaggio gradonato si trovavano alcuni basamenti con fori per l’esposizione dei bronzi votivi composti prevalentemente da spade con costolatura pronunciata mentre in tutta l’area cultuale sono scarsi i bronzi figurati, in proporzione all’imponente quantità di contenitori e strumenti di bronzo frammentari raccolti per essere rilavorati in qualche officina fusoria

Una nuova capanna è affiorata alla base del muro ciclopico, quasi addossata alla rampa gradonata che arriva all’altezza dell’ingresso al cortile dell’insula.

Il vano e l’area circostante ha restituito testimonianze di una frequentazione intensa iniziata nel Bronzo finale e continuata fino al periodo orientalizzante (XIVII sec. a.C.) attestata da modifiche architettoniche effettuate per sopraggiunte nuove esigenze che hanno portato al riutilizzo come semplice materiale da costruzione di basamenti destinati, nelle fasi più antiche, a sostenere spade votive. Alcuni frammenti di spade votive semplici, con decorazioni geometriche, erano contenuti nei crolli insieme a materiale ceramico dall’impasto più depurato e le superfici decorate a motivi di triangoli campiti e cerchielli evidenziati, in alcuni frammenti, da paste caoline o dipinte

Gli strati archeologici dell’età del Ferro hanno restituito fibule ad arco ingrossato con decorazioni geometriche di tradizione villanoviana, spilloni, un braccialetto in bronzo composto da vaghi di pasta vitrea di cui tre ad occhi, un vago cilindrico di ambra decorato a scanalature parallele. Negli strati archeologici giacevano, in modo confuso a causa dell’inclinazione del piano roccioso, un frammento di paratia traforata di navicella, due fettucce in bronzo con ornato geometrico unite da un ribattino, un anelli di sospensione e frammenti di bacili in lamina bronzea e di pareti di vasi restaurati da grappe di piombo

L’esplorazione delle strutture all’esterno del muro conferma l’esistenza di diversi agglomerati di capanne, ancora da indagare, posti a monte e a valle dell’insula già scavata e facilmente individuabili per la presenza di blocchi di basalto lavorati forse appartenenti ad altri edifici di culto

Nell’area esterna, addossato alla base del muro megalitico, si conservano infatti le basi dei muri rettilinei di un ambiente rettangolare costruito con piccoli blocchi poligonali di calcare locale e pochi corsi a coda in basalto. In corrispondenza dello spigolo del muro è presente una profonda nicchia che conteneva diversi frammenti di pareti di dolio, un affilatoio rettangolare e un lisciatoio. All’interno del vano alla base del muro di fondo, poggiava un bacile di basalto simile per forma a quello della fonte principale ma di dimensioni molto ridotte (diam. all’orlo cm 71) con piede di sostegno (cm 78) e foro pervio praticato all’estremità della conca e in pendenza per facilitare lo scorrimento al- l’esterno dell’acqua. Un grosso dolio frammentario, contenente forse una riserva d’acqua, poggiava sulla conca del bacile che fungeva da sostegno

All’esterno del muro del nuovo ambiente lo scavo ha restituito un bra cialetto in bronzo con decorazione a falsa cordicella, frammenti di spada con costolatura molto robusta, un pesante bottone conico con superfici lisce, una fibula ad arco ingrossato con superfici decorate da fasci di linee parallele, un frammento di panella piano convessa di rame, frammenti di lamine bronzee accartocciate e un frammento di brocca askoide con decorazione geometrica

Alla base del muro ciclopico, infine, sono stati esplorati due piccoli vani circolari con allestimenti interni spiraliformi simili a quelli docu- mentati nei santuari di Romanzesu e di Santa Vittoria che non forniscono ancora indizi chiari utili a capirne l’originario significato

L’esame delle complesse soluzioni architettoniche elaborate anche nel sito di Sa Sedda conferma la notevole varietà tipologica di luoghi di culto edificati nei diversi areali della Sardegna, frutto di una religiosità profonda, espressa dalle popolazioni nuragiche attraverso rituali che perdurano per un lungo arco di tempo

Le straordinarie testimonianze dell’architettura e la ricchezza del deposito votivo di Sa Sedd’e sos Carros rendono ancora più inspiegabile l’abbandono del sito, avvenuto durante l’età del Ferro per cause ancora oscure. La presenza di materiali d’importazione orientale ed etrusca o di imitazione è indizio di nuovi apporti culturali introdotti gradualmente nell’isola, nella tarda età del Ferro, da popolazioni esterne in grado di condizionare gli equilibri economici locali. L’arrivo di questi nuovi prodotti di lusso dovette influenzare le botteghe artigiane che, per soddisfare le richieste delle aristocrazie nuragiche, abbandonarono la produzione bronzea tradizionale legata all’antica e radicata ideologia religiosa.



FONTE: Maria Ausilia Fadda –
Nel segno dell’acqua – Santuari e bronzi votivi della Sardegna nuragica
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