Sueddi – Suelli: tombe prenuragiche di Pranu Siara

 

 

Tombe prenuragiche di Pranu Siara, Suelli

La tomba Pranu Siara o Costera Baugodi o Zinnigas, sorge sul ciglio occidentale dell’altipiano marnoso omonimo, in comune di Suelli, in posizione di dominio sulla vallata percorsa dal Riu Mannu.

Scoperta negli anni settanta del secolo scorso, è stata fatta oggetto di una serie di interventi di scavo clandestino fino alla segnalazione alla Soprintendenza, avvenuta nel settembre del 1982, cui è seguita l’apposizione del vincolo Ministeriale, che ne ha sancito il grande interesse scientifico. In occasione dei sopralluoghi successivi alla segnalazione, V. Santoni riferiva della presenza di alcuni reperti fittili pertinenti all’orizzonte culturale Monte Claro, della media età del Rame isolana, rinvenuti tra il terreno della discarica clandestina nell’area esterna immediatamente antistante la tomba e in corrispondenza del corridoio, che indussero ad attribuire la costruzione della sepoltura al medesimo aspetto culturale. Altri frammenti ceramici riferiti all’orizzonte Bonnanaro del Bronzo Antico, erano evidentemente pertinenti ad un riutilizzo del sepolcro.

V. Santoni accennava, inoltre, al ritrovamento di “peculiari testimonianze di età campaniforme”, tra le quali “frammenti vascolari caratteristici ed elementi di collana a dischetto forato tratti da conchiglie”, associati a resti ossei, che provenivano però da una seconda sepoltura non chiaramente individuata, ubicata a breve distanza, sul margine Nord dello stesso altipiano, nelle adiacenze dell’omonimo nuraghe complesso Pranu s’Jara.

Due successive campagne di scavo, intraprese tra novembre 2012 e gennaio 2013, la prima, e tra agosto 2013 e gennaio 2014, la seconda, hanno confermato che la tomba è stata quasi sistematicamente violata dagli scavatori clandestini. Tuttavia alcuni lembi residui, oltre al cospicuo materiale rinvenuto tra la terra di risulta e negli strati rimestati, hanno consentito di accertarne un utilizzo campaniforme quasi esclusivo e di ricavare informazioni di grande interesse scientifico. Il ritrovamento di pochi frammenti Monte Claro, che conferma le notizie di V. Santoni, permette inoltre di non escludere che il primo impianto possa essere precedente.

Da un punto di vista strutturale la sepoltura è costituita da un corridoio lungo poco meno di 6 metri, a pareti leggermente aggettanti, ai lati del quale si aprono dodici celle, sei per ognuno dei lati lunghi, disposte a tre a tre su due registri sovrapposti. Le celle hanno pianta quadrangolare, con dimensioni medie di circa un metro di larghezza, altezza e profondità. Sia le celle che il corridoio avevano una copertura piana a lastroni. La struttura è definibile come ipogeico megalitica: ipogeica perché realizzata all’interno di una trincea scavata nel banco di marna naturale, con le quote delle lastre di copertura al livello del piano di campagna, o appena sotto; megalitica perché costruita con grossi blocchi tendenzialmente lastriformi.

Sul pavimento, costituito dal banco marnoso naturale opportunamente regolarizzato, residuano alcuni lembi di una acciottolato costituito da pietrame minuto ben connesso, rinvenuti nella parte anteriore e mediana del corridoio. Se l’adozione della formula mista, ipogeica e megalitica, può vagamente richiamare la tomba campaniforme di Bingia’e Monti-Gonnostramatza, scavata da Enrico Atzeni, per l’impianto planimetrico generale si dispone di pochi e vaghi confronti, tutti riferibili ad ambito Monte Claro: le tombe di Santu Luxori-Barumini e Nerbonis a Gesturi. La prima viene definita da G. Lilliu come una “stanzetta rettangolare, lastricata, con limitazione di pareti in leggero aggetto, a filaretti di piccole pietre a secco, coperta da un solaio piano di lastre di marna”. Era dotata di un portello rettangolare preceduto da un piccolo vestibolo di cm 60 di lunghezza. La seconda fu scavata dal Lilliu nel 1945 e inizialmente datata dallo stesso autore, non senza riserve, all’età del Ferro. Successivamente è stata riferita all’orizzonte Monte Claro per la presenza nell’area circostante di frammenti ceramici caratteristici in notevole concentrazione. Lilliu la  descrive come un vano trapezoidale di 3 m di lunghezza, limitato da una muratura di piccole pietre a secco in marna, e coperto da un solaio piano di lastre accostate. Essa si articola in “loculi” rettangolari (…) disposti in due ordini sovrapposti”, cioè su due piani, come nel nostro caso.

Tra i materiali rinvenuti, per lo più riferibili, come detto, alla facies campaniforme, si contano al momento (lo studio dei reperti è in una fase assolutamente preliminare) una quarantina di frammenti ceramici decorati caratteristici, circa 300 vaghi di collana, tratti da conchiglie, sia del tipo a dischetto forato che ellittici (ma anche columbella rustica), da canini di canide, da zanne di cinghiale, da c.d. canini atrofici di cervo. Inoltre alcuni elementi in rame: due pugnaletti ed una lama molto ossidata, riferibile forse ad un terzo esemplare, e due lesine caratteristiche a sezione quadrangolare e parte centrale a losanga. Un piccolo frammento di osso lavorato potrebbe essere inoltre riferibile, sebbene dubitativamente, ad un brassard o bracciale d’arciere.

Quanto alla litica, per lo più in ossidiana, si segnalano almeno tre punte di freccia del tipo a codolo ed alette squadrate, una delle quali in selce, alcuni microliti a mezzaluna e numerose schegge. Come è noto la presenza di schegge non lavorate di ossidiana si rileva con frequenza nell’ambito delle sepolture campaniformi, e la sua interpretazione rimane dubbia.

Tra gli stili decorativi documentati dalle ceramiche, di grande interesse è la presenza di diversi frammenti di bicchiere decorati con il classico motivo a bande orizzontali campite da tratteggio obliquo, riferibili alla fase A, corrispondente alla produzione con decoro Marittimo ed Epimarittimo, il cui contesto di riferimento è Marinaru-Sassari (SS), strato inferiore. Le decorazioni sono realizzate con un pettine a denti quadrangolari e riempite di pasta bianca. Sono presenti inoltre alcuni frammenti decorati con il motivo a chevrons classico delle fasi campaniformi intermedie, il cui contesto di riferimento è Padru Jossu, strato inferiore. Altri frammenti sono collocabili nella fase tre (epicampaniforme), caratterizzata da motivi ormai non più convenzionali e interpretata come frutto di ibridazione con le componenti locali. I contesti di riferimento sono Locci Santus-S.Giovanni Suergiu, Bingia’e Monti-Gonnostramatza (OR), Ispiluncas-Sedilo.

Sono presenti infine diversi piedi di tripode, per lo più del tipo a lingua caratterizzati da uno sviluppo modesto, inquadrabili nell’ambito delle fasi tarde campaniformi. Sembra trattarsi di forme non decorate, riferibili al campaniforme inornato, così come alcuni altri frammenti pertinenti per lo più a tazze e ollette. E’ uno stile ceramico caratterizzato, come è noto, da forti influenze poladiane, ma nel quale il repertorio delle forme si mantiene sostanzialmente simile a quello delle fasi 2 e 3. I contesti di riferimento sono Padru Jossu-Sanluri (VS), strato III, Marinaru-Sassari (SS) strato superiore e, forse di un momento leggermente più tardo, Cuccuru Nuraxi-Settimo S.Pietro e Matzeddu-Monastir (CA).

Lo studio analitico dei materiali e delle stratigrafie, dei resti antropologici e paleobotanici, e le datazioni C14, previste nel progetto di scavo, contribuiranno a fare luce sui nodi ancora non risolti relativi alla presenza campaniforme in Sardegna: cronologia assoluta, cronologia interna del fenomeno, rituali funerari, interazioni con la componente locale, direttrici di arrivo, natura stessa del fenomeno (“cultura” tout court o fenomeno sovraculturale?).

FONTE: D. COCCO, F. NIEDDU – NOTIZIARIO DI PREISTORIA E PROTOSTORIA – 2014, 1.IV

 

 

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