Tàtari – Sassari: tomba a prospetto architettonico di Molafà

 

 

 

Tomba a prospetto architettonico di Molafà, Sassari

 

La tomba di Molafà si incontra lungo la vecchia strada statale 127bis, passata la frazione di Caniga e pochi metri prima della stazione ferroviaria omonima sulla linea Sassari-Alghero; si apre su una bassa parete calcarea esposta a Sud-Ovest, alla base di un modesto rilievo.

Assieme alla tomba di San Giorgio – Prato Comunale, quella di Molafà fu la prima “domus a prospetto architettonico” ad essere segnalata, nel 1908, dal francese Préchac, che la descrisse con precisione e soprattutto ne riconobbe la stretta affinità con le tombe di giganti megalitiche.

Ancor più esplicito fu, due anni più tardi, il Mackenzie, che analogamente descrisse ed illustrò l’ipogeo, definendolo senza mezzi termini una «tomba di giganti scavata nella roccia»; tuttavia, contrariamente al Préchac, che aveva notato subito le manomissioni recenti subite dalla tomba, lo studioso scozzese non si rese conto che l’ingresso attuale era dovuto ad un ampliamento verso l’alto del primitivo portello, e lo ritenne quindi originale.

Si tratta, dunque, di una vera e propria tomba di giganti riprodotta nella viva roccia; gli ipogei a prospetto raffiguravano, in particolare, il tipo di tomba più arcaico, caratterizzato, oltre che dall’ampia esedra semicircolare spesso provvista di panchina alla base, soprattutto dalla cosiddetta “stele centinata”, che svettava al centro del prospetto. Al di sopra della bancata di roccia veniva realizzato un ulteriore scavo semicircolare (la cosiddetta “esedra superiore”) al centro del quale risaltava, in rilievo, il tumulo allungato, riprodotto parzialmente (ma in alcuni casi interamente), che in corrispondenza della parte superiore della stele centinata presentava tre fori, destinati forse a contenere tre piccoli betili.

La tomba di Molafà, purtroppo ampiamente rimaneggiata, è esemplare in quanto presentava tutti gli elementi caratteristici di questo tipo di sepolture. L’esedra semicircolare, intagliata nella roccia, è ampia 10 metri ed alta al massimo 3; non sembra mostrare tracce del sedile alla base, ed infatti non lo proponiamo nella nostra ricostruzione ideale, curata dal Prof. Enzo Secchi. Al centro era ricavata la stele centinata, suddivisa nei due spartiti della lunetta semicircolare superiore (largh. m 1,03; alt. m 1,05) e del rettangolo inferiore (largh. m 1,10; alt. m 0,60), separati da una fascia (il “listello orizzontale”) di m 0,30; la tecnica è quella dei riquadri ribassati rispetto alla linea di parete, per cui l’unico tratto della stele in cui si può parlare di “cornice in rilievo” (come per le stele delle analoghe tombe di giganti megalitiche) è solo quello dell’estradosso della lunetta, che svetta al di sopra del piano di roccia superiore.

L’esedra superiore è ben lavorata e abbastanza profonda ed il tumulo scolpito in rilievo nella roccia piuttosto evidente: di quest’ultimo, a causa della terra accumulata sulla parte superiore del prospetto, si distingue solo il tratto prossimo all’estradosso della stele, in cui sono scavati i consueti tre fori di forma perfettamente quadrangolare, forse per l’alloggiamento di una terna di betilini litici o manufatti simbolici di altro materiale.

Il portello originario si apriva nella fascia al di sotto del riquadro inferiore: purtroppo, è stato ingrandito nel corso dei secoli, sino a ricavarne una porta vera e propria di m 1,50 di altezza, che ha finito per sfondare, in alto, il riquadro della stele e giungere sino al listello che separava quest’ultimo dalla lunetta. All’interno, dopo un andito di m 0,80, si apre la camera funeraria, rettangolare (m 2,80 x 1,95 x 1,85 alt.), con volta a sezione ogivale, priva di nicchie alle pareti: nel pavimento è ricavato un basso bancone, lungo la parete, che risparmia una fossa rettangolare di m 2,20 x 0,64 x 0,26 di profondità.

Anche la tomba di Molafà, al pari di molte altre domus a prospetto architettonico, in epoca alto-medievale venne adibita a cappella rupestre; ciò è soprattutto testimoniato da due graffiti, purtroppo di difficile individuazione, segnalati da R. Caprara sulla parete NO della camera interna. Si tratta di «una croce monogrammatica con le lettere apocalittiche Α e Ω e di una probabile croce sul Golgota». Non ci trova invece d’accordo l’ipotesi dello stesso Caprara circa l’attribuzione alla fase medievale dello scavo della fossa rettangolare, «dove il piano più antico risulta ribassato …. in tal modo, lungo tre lati della cella, appaiono risparmati ampi subsellia (o forse meglio, giacitoi) larghi m 0,60». Il confronto con numerosi altri ipogei a prospetto architettonico ci porta, invece, a ritenere che l’elemento della fossa centrale, marginata da banconisedili, sia invece da considerare originario della tomba nuragica, forse destinato alle deposizioni.

Paolo Melis

Testo e illustrazioni da: Sassari nella preistoria – Editrice Democratica Sarda

 

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