Crabas – Cabras: area archeologica di Mont’e Prama

Area archeologica di Mont’e Prama, Cabras

Visite guidate su prenotazione (min. 8 persone)

Per info e prenotazioni: 379 1700454

Autore: Marco Minoja

La collina digrada piano verso lo stagno di Cabras; intorno, le palme nane danno ragione del nome del luogo: Mont’e Prama. Lungo il declivio le lastre quadrate di copertura delle tombe scavate oltre quarant’anni fa.

La necropoli è un unicum in Sardegna; non più grande tomba dei giganti e non ancora fossa singola: ma una lunga fila di pozzetti, collegati tra loro da quelle lastre che danno alla necropoli l’aspetto di un gigantesco domino giocato sul fianco del colle. I giocatori conoscevano già la vocazione sepolcrale dell’area: vi trovarono infatti una necropoli più antica; al vecchio sepolcreto ne accostarono un altro, preservando il precedente.

L’area venne così monumentalizzata, le tombe rese visibili, si apprestò una strada parallela alla fila di sepolture. Ma qualcosa di ancora più evidente doveva servire, o era servito, ad esaltare quel luogo eccezionale. Grandi statue furono collocate lungo le pendici della collina: una parata di élite guerriera, l’aristocrazia del popolo nuragico.

Testo tratto da: ” LA PIETRA E GLI EROI -Le sculture restaurate di Mont’e Prama”


Storia degli scavi

Autori: Marco Minoja, Alessandro Usai

Il complesso di sculture rinvenute a Mont’e Prama, nella penisola del Sinis, lungo la costa centro-occidentale della Sardegna, costituisce un caso di eccezionale interesse e di assoluta originalità, sia nel panorama complessivo della statuaria preistorica in Europa, sia nel quadro di riferimento più stretto della produzione artistica del mondo nuragico.

Le sculture in calcare, ricomposte da un accurato restauro tra il 2007 e il 2011 e pubblicate complessivamente insieme al contesto territoriale e di rinvenimento in tre volumi del 2014 a cura delle Soprintendenze archeologiche di Cagliari e Sassari raffigurano in numero variabile guerrieri armati di scudo rotondo, arcieri e cosiddetti “pugilatori” (Usai L. 2014), oltre a numerosi modelli di nuraghe e ad altri oggetti non identificati (Leonelli 2014). Sono degni di nota anche numerosi betili in arenaria e in calcare (Usai E. 2014).

Individuate nel 1974 a seguito di lavori agricoli, le sculture furono recuperate durante tre campagne di scavo tra il 1975 e il 1979, condotte prima da Alessandro Bedini (Bedini 2014) e poi da Carlo Tronchetti (Tronchetti 2014a).

Quest’ultimo in particolare rinvenne un immenso accumulo di materiale statuario, costituito da oltre 5000 frammenti di varie dimensioni, disseminati confusamente sopra un ampio settore di necropoli a inumazione di un tipo assolutamente unico in Sardegna: si tratta infatti di una lunga sequenza di tombe individuali a pozzetto, coperte con lastre quadrate di arenaria.

Gli scheletri, in posizione fortemente contratta, appartengono esclusivamente (tranne poche incerte eccezioni) a maschi giovani e adulti.

La campagna di scavo del 2014 ha confermato le osservazioni effettuate negli anni ’70, aggiungendo un ulteriore tratto di necropoli a Sud dei precedenti e recuperando altri 3000 frammenti scultorei, tra cui tre nuove statue in buono stato di conservazione (Usai A., Usai E. 2016).

Con la grande campagna di scavi del 2015 e 2016, tutta la necropoli, già indagata e poi ricoperta, è stata riportata alla luce, ripristinata e offerta agli studi e alla pubblica fruizione. Ancora una volta sono state recuperate alcune migliaia di frammenti scultorei di piccole dimensioni, ma nessuna nuova statua. Le tombe, il cui numero supera il centinaio, appaiono ora chiaramente disposte su più file parallele lungo il lato orientale di una vera e propria via funeraria artificialmente incavata nel substrato calcareo.

La fila principale di tombe si articola in alcuni gruppi omogenei che compongono una sequenza quasi ininterrotta di lastre. Inoltre la ricerca è stata estesa all’esterno della necropoli: sono stati indagati due edifici nuragici interconnessi, uno dei quali di grandi dimensioni, forse adibito a funzioni cerimoniali ma totalmente svuotato e rioccupato in epoca punica; ancora, è stato portato alla luce un lungo muro rettilineo pertinente a un edificio o piuttosto a un recinto d’incerta natura, sicuramente di notevole importanza a giudicare dalla presenza di elementi in arenaria perfettamente lavorati.

L’inquadramento cronologico, ancorché dibattuto, è ormai corroborato dai riscontri analitici compiuti con il metodo del carbonio 14 sui resti scheletrici di 13 sepolture, che pongono lo sviluppo della necropoli tra la fase finale dell’età del bronzo e la prima e piena età del ferro; in particolare le datazioni delle tombe allineate sul margine orientale della strada funeraria, coperte con lastre quadrate di arenaria in ordinata sequenza e senza dubbio pertinenti, insieme alle sculture, alla fase di sistemazione definitiva della necropoli, si raggruppano tra il X e la prima metà dell’VIII sec. a.C. in cronologia calibrata, mentre le datazioni delle tombe a pozzetto semplice, stratigraficamente antecedenti ed anzi spesso tagliate e inglobate nelle nuove strutture, hanno una distribuzione più incoerente, talvolta anche meno affidabile a seguito delle alterazioni intervenute.

I frammenti di ceramica punica recuperati nell’accumulo di resti lapidei pongono invece la dispersione delle statue frantumate sopra le coperture delle tombe in un periodo inquadrabile tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C., in piena fase di occupazione punica della Sardegna (Tronchetti 2014b).

La frammentazione delle sculture si colloca dunque in tempi imprecisati tra la loro realizzazione e la definitiva deposizione dei frammenti sopra il complesso funerario. Le sculture, realizzate in una pietra calcarea particolarmente friabile e rimaste all’aperto per un tempo indefinito, potrebbero essere cadute per degrado naturale; oppure potrebbero essere state abbattute volontariamente in tempi diversi e antecedenti a quelli della formazione del cumulo in cui sono state rinvenute. In effetti, lo stato di conservazione del materiale lapideo è molto variabile: alcuni pezzi mostrano segni di quel che sembra un vero e proprio accanimento distruttivo, accompagnato dalla dispersione dei frammenti originariamente pertinenti, mentre altri sembrano mostrare solo i segni dei danni prodotti dalla caduta. Inoltre alcuni frammenti scultorei sono stati rinvenuti in posizione di riutilizzo nelle strutture nuragiche dell’età del ferro; ciò suggerisce che già nei tempi della loro realizzazione o poco successivi vi fosse disponibilità di pezzi rotti o mal riusciti, non ancora “consacrati” alla grande offerta collettiva della necropoli, o forse anche già “sconsacrati” senza che il reimpiego implicasse la consapevole violazione di valori riconosciuti (Usai A. 2015, 87; Usai A., Vidili 2016, 265-267).

Nulla è possibile dire sulla collocazione originaria delle sculture; tuttavia gli scavi recenti hanno introdotto un nuovo elemento, sopravvenuto a corroborare un’ipotesi di prossimità tra le sculture e le tombe, che a tutti gli effetti appare la più attendibile. Tra le nuove sculture si distinguono due statue di un tipo diverso da quelli attestati nei rinvenimenti degli anni ‘70 (fig. 2.1); sono dotate di uno scudo ellittico simile a quello impugnato dai “pugilatori” ma, diversamente da questi, portato non sopra la testa bensì in posizione ripiegata e frontale, in un gesto che ha consentito di riconoscere pienamente la postura e l’armamentario del bronzetto nuragico dalla ben nota tomba di Cavalupo di Vulci.

Le due nuove statue sono state ritrovate in condizioni pressoché integre, spezzate alle gambe e con lacune nel capo e nello scudo. Adagiati a lato della necropoli, i due esemplari sembrano avere conservato in maniera attendibile la propria posizione, o almeno il punto della caduta o dell’abbattimento (Usai A., Usai E. 2016, 97-99, figg. 17-18).

L’originaria prossimità tra le sculture e le tombe induce a confermare anche sul piano dell’organizzazione spaziale un nesso di relazione tra i due fenomeni, che d’altro canto, connotandosi entrambi per l’assoluta originalità all’interno del panorama archeologico della Sardegna nuragica, già di per se stessi suggeriscono la lettura di tutte le componenti di Mont’e Prama come un quadro unitario, all’interno del quale le diverse realtà (sculture, tombe e altri edifici) dialogano in un sistema strettamente interrelato di significati e contenuti comunicativi.

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LA STRAORDINARIA SCOPERTA AVVENUTA A MAGGIO DEL 2022

Autore: A.Moravetti

Il nuovo cantiere archeologico, diretto da Alessandro Usai, della Soprintendenza ABAP della città metropolitana di Cagliari e delle province di Oristano e Sud Sardegna, retta da Monica Stochino, ha messo in luce novità di straordinario interesse nel settore adiacente a sud del terreno della Curia Arcivescovile di Oristano, già interessato dai quattro di saggi di scavo del 2016, pubblicati nel 2020, che intercettarono sia la continuità del settore delle tombe a pozzetto, sia la continuità della strada funeraria, interessata da resti di sculture tra cui due splendidi esemplari di modelli di nuraghi a otto torri esterne, due frammenti di betili troncoconici in arenaria, di cui uno con una fascia di incavi rettangolari.

La continuità della via funeraria e delle tombe a lastrone nei terreni privati a mezzogiorno dell’area della Curia arcivescovile è stata sostenuta sin dal 2014 sulla base di una anomalia a stretta fascia continua, da parte del geofisico Gaetano Ranieri dell’Università di Cagliari.

La presentazione alla stampa delle nuove scoperte, da parte della Soprintendenza, rivela l’individuazione di due torsi e altri frammenti di statue del tipo “Cavalupo” «a pochi metri di distanza dalle due statue del medesimo tipo rinvenute nel 2014».

La volontà, già espressa, di ampliamento del saggio in questione appare estremamente importante, poiché i dati emersi sia nel 2016, sia e soprattutto in questi giorni di maggio, riflettono limpidamente la continuità delle due fasi di sepolture a pozzetto, quella orientale, e l’altra occidentale con lastroni di copertura, così come la continuità della “discarica” delle sculture in calcare e dei betili in arenaria.

Il tipo statuario “Cavalupo” trae il nome dal bronzetto nuragico della necropoli di Cavalupo-Vulci della metà del IX sec. a.C., deposto in una tomba “dei Bronzetti sardi”, destinata ad una donna e a una bambina. Il bronzetto è stato considerato da Giovanni Lilliu un sacerdote militare, coronato da un copricapo conico, simile al tutulus etrusco (o all’apex dei sacerdoti Salii di Roma), con uno scudo arrotolato e il guantone, pendente dal polso della mano destra alzata in segno di preghiera.

A distinguere il personaggio dalla serie della quasi totalità dei bronzi nuragici sono i sandali.
Le due sculture in calcare del 2014 ci presentano un “pugilatore” con il braccio destro in basso con l’avambraccio protetto che porta il pugno entro caestus (guantone) sul petto, mentre il braccio sinistro sostiene lo scudo rettangolare arrotolato, con un lembo aperto sull’addome. La testa, dotata, di due trecce a ritorto semplice, era sormontata da un copricapo conico.

I piedi sono impostati su una base quadrata e calzano sandali con robusta suola. La scoperta nel 2014 è stata accompagnata dal rinvenimento di otto piedi con sandali, che, insieme alla base integra, cui si aggiunge un ulteriore frammento di piede con sandalo nello scavo 2017, indiziano l’esistenza nell’area di sei statue di “pugilatore” con caestus, scudo arrotolato, copricapo e sandali.

La nuova scoperta è eccezionale perché dimostra che questo tipo di Sacerdoti militari con scudo avvolto erano concentrati nel settore sud dell’area funeraria.

Abbiamo cioè il caso unico nell’ambito delle statue di Mont’e Prama della collocazione originaria di una tipologia statuaria in un settore probabilmente predeterminato della strada funeraria, il cui rapporto con le statue ci appare ora perspicuo: dobbiamo immaginare in questo settore dell’area funeraria una “scenografia” costituita da una sequenza di “sacerdoti-militari” del tipo Cavalupo.

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-LE SCULTURE DI MONT’E PRAMA-

Pugilatori, arcieri e guerrieri

Autrice: LUISANNA USAI

Quando nel 1981 vennero pubblicati per la prima volta i dati dello scavo effettuato da Carlo Tronchetti nel sito di Mont’e Prama, fu evidenziata soprattutto la presenza di statue in arenaria che riproducevano, in grandezza superiore al vero, due figure: quella del così detto pugilatore, già nota, seppure in soli due esemplari, nella piccola plastica in bronzo di produzione nuragica, e quella del guerriero con arco sulla spalla sinistra, quest’ultima ben rappresentata nella bronzistica. Sulla base dei dati di scavo sono anche state ricostruite graficamente le due figure, poi riprese in diverse pubblicazioni.

Il restauro e la verifica di tutti i frammenti restituiti dall’indagine archeologica hanno non solo aumentato il numero delle figure rappresentate, ma anche fornito numerose precisazioni sui particolari evidenziati in ciascun tipo e sulle differenze nelle diverse rappresentazioni dei singoli personaggi pur nell’omogeneità dei tipi fondamentali.

Alcune statue sono sufficientemente complete, tanto da far capire facilmente come doveva essere la figura intera al momento della realizzazione. In altri casi è la ripetitività delle immagini che ci aiuta a ricostruire, almeno virtualmente, le statue; in altri casi ancora è la possibile pertinenza dei frammenti non ricomponibili a consentirci di delineare il quadro complessivo.

La figura più rappresentata è quella del così detto “pugilatore”, termine già usato da Giovanni Lilliu per definire il personaggio rappresentato su un bronzetto rinvenuto nel territorio di Dorgali. Sono ben sedici le raffigurazioni di “pugilatore”, anche se non tutte in ugual stato di conservazione. Le due meglio conservate hanno consentito di ricomporre anche la parte superiore con lo scudo poggiato sulla testa, operazione che, dal punto di vista strettamente tecnico, ha creato non pochi problemi ai moderni restauratori e ne deve aver creato ancora di più agli antichi artigiani.

Ciò che caratterizza, infatti, questa figura è un grande scudo ricurvo di forma rettangolare, che viene poggiato sulla testa con la mano sinistra, mentre la mano destra lo tiene saldamente in posizione perpendicolare al corpo. Partendo dagli esemplari più completi possiamo facilmente ricostruire il prototipo dell’immagine del pugilatore, immagine che peraltro non sembra conoscere molte varianti, se non per le dimensioni.

La figura del pugilatore, ma anche le altre che vedremo in seguito, poggia saldamente i piedi, paralleli tra loro ma distanziati di circa cm 20 su una base quadrangolare, alta intorno ai 12 cm.

L’altezza negli esemplari più completi con lo scudo arriva ai due metri o poco più. Il corpo possente indossa un semplice gonnellino triangolare i cui lembi si sovrappongono sul davanti mentre la parte posteriore finisce a punta. Soprattutto lo spessore e la rigidità della parte posteriore fa pensare che il gonnellino sia stato realizzato in un tessuto molto pesante o in cuoio. L’unico altro elemento del vestiario è una cintura che trattiene il gonnellino e che, nella parte posteriore, decisamente più alta che sul davanti, si apre a doppia V verso il basso.

I piedi sono in genere nudi, come anche le gambe, rappresentate divaricate e piuttosto tozze e corte in rapporto al busto; in alcuni casi si possono notare dei calzari che lasciano nude le dita dei piedi e che si concludono con una fascia orizzontale decorata all’altezza della caviglia o un po’ più su. La nudità del busto è evidenziata in alcuni casi dalla rappresentazione dei capezzoli o dell’ombelico.

L’essenzialità rappresentativa della parte inferiore del corpo viene totalmente sovvertita in quella superiore, sia per la necessità di raffigurare gli elementi caratterizzanti la figura, sia per la volontà di evidenziare i tratti del volto. La rappresentazione del volto segue in tutte le statue uno schema fondamentalmente comune, in cui sul viso triangolare spiccano i grandi occhi, costituiti da due cerchi concentrici, mentre la bocca è sintetizzata da una sottile linea incisa. Esalta la resa degli occhi anche la fronte alta e sporgente dalla quale si sviluppa il naso a pilastrino, con narici rappresentate da incisioni, affiancato dalle profonde arcate sopraccigliari; ugualmente in rilievo le orecchie di forma semicircolare ed incavate al centro.

Sulla testa è una semplice calotta che si distingue bene soprattutto nella parte posteriore dove arriva quasi alla base del collo. Il volto appare, inoltre, incorniciato da sottili trecce che, partendo all’altezza delle orecchie scendono sul petto, una o due per lato.

Ma è certamente nella rappresentazione dello scudo e delle difese delle braccia che si evidenzia la cura nella resa dei minimi particolari e soprattutto la perizia dello scultore. All’altezza del gomito sinistro è rappresentato, in tutti i suoi dettagli funzionali e decorativi, il bracciale che fissa lo scudo.

Il braccio destro è invece completamente rivestito da una guaina che parte dal gomito e copre la mano chiusa a pugno; sul lato una protuberanza fa pensare che il guanto fosse rafforzato da un elemento probabilmente di metallo che serviva ad aumentare l’impatto sull’avversario in una lotta corpo a corpo.

Lo scudo, a sua volta, è reso realisticamente con l’evidenziazione degli elementi che lo compongono, sia all’interno che all’esterno. Lo stato frammentario dei diversi scudi non ha consentito di ricomporre interamente nessuno di essi, ma unendo i diversi dati dei frammenti si possono individuare gli elementi costitutivi. All’esterno, a circa cm 10 dal bordo, corre una sorta di fettuccia, realizzata in leggero rilievo, mentre all’interno un’analoga rappresentazione si dispone quasi a raggiera.

La definizione di “pugilatore” è ormai diventata convenzionale ma sembra, comunque, la più appropriata. Infatti persistono molte perplessità a vedere in queste figure dei soldati armati alla leggera, secondo un’ipotesi proposta a suo tempo da Giovanni Lilliu per l’analoga statuina in bronzo di Dorgali ed ora ripresa da qualche studioso. Appare più verosimile pensare ad atleti che si esibiscono in giochi sacri, in una lotta anche cruenta a giudicare della difesa rostrata del pugno. Questa ipotesi è rafforzata dalla particolare robustezza delle figure di “pugilatori” rispetto a quelle sicuramente riferibili a soldati; il busto appare sempre piuttosto massiccio, spesso quasi strabordante al di sopra della cintura.

Decisamente più articolata è la figura dell’arciere, sia per la maggiore complessità dell’armamentario, sia per le possibili varianti della rappresentazione. A questa tipologia vanno certamente riferite cinque statue, mentre in un caso l’attribuzione è incerta. Anche in questo caso la figura è rappresentata su una base rettangolare con i piedi paralleli e le gambe leggermente divaricate. Come per i pugilatori, si può pensare ad un’altezza originaria intorno ai due metri.

L’atteggiamento è quello del saluto alla divinità con la mano destra sollevata, ben conosciuto nella bronzistica nuragica, anche se nessuna delle statue è stata ricomposta interamente nella parte delle braccia; alcuni frammenti di mani mostrano, peraltro, chiaramente la posizione a palmo aperto con le dita accostate e ben delineate.

La mano sinistra regge l’arco che, nella statua più completa, appare di tipo corto e mostrato in avanti, col gomito ad angolo retto, parallelamente al corpo. La tipologia degli archi, nonostante l’accurato lavoro di restauro, rimane ancora piuttosto dubbia. I numerosi frammenti sono solo parzialmente ricomponibili e fanno pensare ad almeno due tipi di arco, secondo modelli rappresentati nei bronzi figurati: un tipo corto con sezione rettangolare ed un tipo più grande, che doveva essere poggiato sulla spalla, di sezione in parte circolare ed in parte quadrangolare. La mano sinistra è rivestita da uno spesso guanto con motivi a zig-zag a rilievo che lascia libere le dita. Sull’avambraccio è riprodotta una robusta protezione con motivi a rilievo paralleli che arriva fin quasi al gomito.

La raffigurazione del volto dell’arciere è del tutto simile a quella del pugilatore ed analoga è la resa della capigliatura con le lunghe trecce che scendono ad incorniciare il volto.

Sulla testa, però, è rappresentato un elmo a calotta che termina all’altezza della nuca, lasciando libere le orecchie. L’elmo è del tipo crestato e cornuto; le corna erano certamente ricurve e rivolte in avanti, come dimostrano i diversi frammenti rinvenuti, ma non ne possiamo stabilire la lunghezza. In alcuni casi i frammenti di corna terminano con delle piccole sfere.

Gli arcieri indossano una corta tunica che lascia scoperta parte delle cosce e sulla quale pende una placca pettorale quadrata, con i lati concavi. Negli esemplari meglio conservati si può vedere il dettaglio delle triple stringhe che reggono il pettorale e del motivo a fitte linee orizzontali che lo completa.

Le gambe degli arcieri appaiono ben difese da schinieri che lasciano i piedi nudi e che possono essere decorati sul retro da fasce di motivi a spina di pesce orizzontali; in qualche caso invece sul retro sono rappresentate le stringhe che chiudono lo schiniere con profilo ad otto. Sul davanti la protezione delle gambe sale a punta ben oltre il ginocchio e termina con una sorta di bretella che tiene teso lo schiniere e va sotto la tunica.

Sulla schiena pende la faretra; nessuna statua conserva la forma completa ma questa è parzialmente conservata su diversi frammenti non ricollegabili ai torsi di arcieri ben identificati. La faretra è resa con motivi diversi, a volte con costolature verticali in rilievo, a volte con sottili incisioni; in un caso a fianco della faretra si conserva parte di un elemento lungo e stretto che potrebbe essere il fodero di una spada o di una “penna direzionale”, del tipo rappresentato in alcuni bronzetti.

Certamente dalla ricomposizione dei frammenti e dall’accurato lavoro di restauro, la figura che emerge nella sua complessità e raffinatezza è quella del guerriero armato di scudo. Alcuni elementi di questa figura, come ad esempio lo scudo rotondo, erano stati, all’origine, attribuiti all’arciere e solo dopo una prima analisi di tutti i frammenti si è individuata anche la figura del guerriero. La ricomposizione di alcune porzioni di statue e l’analisi di elementi simili consentono ora di riconoscere due statue di guerrieri, una delle quali ben conservata, e di evidenziarne le caratteristiche salienti; per una terza statua lo stato di conservazione non consente di capire se si tratti di un arciere o di un guerriero.

Il guerriero si distingue dall’arciere fondamentalmente per l’abbigliamento e perché porge in avanti uno scudo circolare, impugnato con la mano sinistra e tenuto da dietro con la mano destra. Indossa una corazza, molto corta nella parte posteriore, ma particolarmente robusta nella parte delle spalle; sulla tunica è rappresentato con particolare cura un pannello verticale che parte dalla vita, è decorato nell’estremità inferiore con motivi incisi e termina con fitte frange.

Lo scudo, a sua volta, è rappresentato in maniera molto accurata: ha un umbone centrale in rilievo e motivi a chévron variamente combinati che ricordano i motivi geometrici proposti nelle note “pintadere” di età nuragica. Non è stato possibile attribuire con certezza nessuno scudo alle figure di guerriero individuate, ma la pertinenza a questo tipo di rappresentazione è indubbia.

Testo tratto da: ” LA PIETRA E GLI EROI -Le sculture restaurate di Mont’e Prama”

 

RAPPRESENTAZIONI DI ARCHITETTURA

Autrice: Valentina Leonelli

Nella fase finale dell’età del bronzo, intorno al X sec. a.C., l’esigenza di raffigurare il nuraghe sembra diventare funzionale alla necessità di una legittimazione e di un rafforzamento del potere politico, a causa della crisi dei sistemi territoriali, incentrati proprio sui nuraghi, e del conseguente bisogno dei gruppi dominanti di mantenere il prestigio sociale acquisito.

Nei rituali collettivi è indispensabile disporre di un oggetto che sia rappresentativo del gruppo eminente, e nel contempo riconoscibile dalla comunità, e il modello di nuraghe risponde allo scopo. L’immagine del nuraghe assume così una forte valenza simbolica e può essere considerata uno strumento politico: il gruppo egemone, che appartenga alla sfera politica o a quella religiosa, può avvalersi dell’emblema-nuraghe per assicurarsi consenso e stabilità.

La raffigurazione del nuraghe prescinde dal materiale utilizzato e dalle dimensioni. Si distinguono due categorie principali: i piccoli modelli in pietra, in ceramica e in bronzo, che sono offerte votive, e i modelli- altare in pietra, che possono raggiungere dimensioni ragguardevoli e possono essere modulari, cioè costituiti da più parti assemblate.

I modelli-altare in pietra si rinvengono all’interno dei nuraghi in vani riadattati a scopo cultuale, come nel sacello del nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca, nei grandi santuari e luoghi di culto, come Serra Niedda di Sorso, Su Monte di Sorradile, Santa Vittoria di Serri, Sant’Anastasìa di Sardara, Sa Carcaredda di Villagrande Strisaili, nelle grandi capanne dette delle riunioni, di Barumini, di Punta ‘e Onossi di Florinas, di Palmavera di Alghero.

I blocchi che si rinvengono nei crolli delle parti sommitali dei nuraghi confermano la corrispondenza perfetta dei modelli con l’architettura reale. Alcuni elementi architettonici peculiari del nuraghe sono raffigurati nei modelli con motivi decorativi: i mensoloni, che sporgevano dalla parte superiore delle torri per sostenere il terrazzo e dalle cortine che raccordavano le torri, sono resi con incisioni parallele o con scanalature profonde; il parapetto del terrazzo viene decorato con motivi a zig-zag, a spina di pesce, con tratti verticali.

Numerosissimi frammenti di modelli di nuraghe in pietra sono stati rinvenuti nell’eccezionale sito di Mont’e Prama in associazione con le grandi statue di guerrieri. In tutta la Sardegna è il contesto che ha restituito il più alto numero di modelli di nuraghe con caratteristiche formali peculiari. Si registrano formidabili intuizioni e soluzioni tecniche nella loro realizzazione: esistono modelli tratti da un unico grande blocco di pietra, altri che sono componibili, modulari, costituiti cioè da una giustapposizione di elementi.

Tra i modelli di maggiori dimensioni spiccano i nuraghi quadrilobati, costituiti cioè da una torre centrale e da quattro torri laterali collegate da cortine rettilinee, con altezza fino a m 1,40, e i nuraghi polilobati, costituiti da quattro torri alternate a cortine rettilinee e da altre quattro torri secondarie semicircolari. Dei due esemplari quadrilobati e dei tre polilobati il terrazzo della torre centrale è circolare, ed ha un diametro che varia dai cm 36 ai 38, ed un’altezza del parapetto di circa cm 12.

Tra le centinaia di frammenti caratterizzati, quali basi, corpi centrali e terrazzi, si individuano, oltre ai tredici modelli collocati sui sostegni per l’allestimento, altri modelli ancora, deducibili dalle 50 porzioni delle parti sommitali. I parapetti dei terrazzi sono decorati con una serie continua di triangoli, a volte disposti su due file, e nella maggioranza dei casi con tratti verticali; sono rarissime le piccole concavità e i tratti obliqui.

Come in esemplari da altri contesti, è raffigurato un particolare architettonico, del quale non resta traccia nei crolli degli alzati dei nuraghi: si tratta del vano cupolato al centro del terrazzo, che serviva probabilmente a proteggere gli ultimi gradini della scala dalle acque meteoriche: nei modelli in esame la piccola cupola è di forma conica.

In molti casi nei modelli componibili il terrazzo è collegato al fusto rappresentante la torre attraverso un foro centrale longitudinale in cui è inserita un’anima di piombo. Le dimensioni di questi terrazzi variano dai 13 ai 20 cm di diametro, con un’altezza del parapetto di 7-8 cm. I fusti superano anche i 40 cm di lunghezza.

Sono attestati inoltre modelli conservati in un’unica grande torre, almeno cinque esemplari, che presentano il terrazzo di forma circolare, ad eccezione di un caso di forma quadrangolare, e raggiungono i 60 cm di diametro e un’altezza del parapetto di circa 20 cm.

In questi tipi di modelli la parte del fusto della torre presenta al centro una concavità pressoché quadrangolare, profonda circa cm 6, che si raccorda con un secondo elemento corrispondente, a rendere un incastro perfetto. Considerata la tecnica costruttiva dei grandi monotorre non è da escludere che fossero parte di modelli ben più articolati, comprendenti torri laterali caratterizzate dallo stesso tipo di giustapposizione di parti.

La peculiarità strutturale e decorativa e il numero di modelli di nuraghe ribadiscono, nell’unicità delle sculture, l’eccezionalità del contesto di Mont’e Prama.

Testo tratto da: ” LA PIETRA E GLI EROI -Le sculture restaurate di Mont’e Prama”

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