Sarule: tomba dei giganti S’Altare de Logula

 

Tomba dei giganti S’Altare de Logula, Sarule

 

Chi deve spostarsi tra Ottana e la sua piana da un lato, e dall’altro Sarule e la statale 128 – che s’inoltra in Barbagia – non deve far altro che seguire la strada a scorrimento veloce che unisce in pochi minuti una località all’altra, senza che si avverta quasi il dislivello di 450 metri che le divide. Ma esiste anche la strada che si usava in precedenza, più lunga e tortuosa, percorsa oggi soltanto dalla gente del posto, soprattutto gli allevatori. A chi la vuole seguire riserva un fondo in buone condizioni, un percorso solitario attraverso la campagna, con qualche scorcio di paesaggio, e la visita a un’interessante località archeologica. Per imboccarla da Ottana si prende il primo bivio a destra dopo l’uscita dall’abitato, da Sarule si segue la circonvallazione che corre al di sotto del paese. Se ci si muove da quest’ultimo centro si scende per larghi tornanti sino ad attraversare la piccola valle scavata dal Riu ‘e Binzas (delle Vigne), quindi si risale sul versante opposto, procedendo sempre tra pascoli e rade coltivazioni, con la vista che si apre ogni tanto verso la piana. Dopo circa 7 chilometri (10 se si arriva da Ottana) la strada taglia in due una piccola collina che gli antichi sardi avevano scelto come luogo funerario e quindi sacro; un altare, dice il nome: il punto è noto come Altare de Logula.
I resti degli antichi monumenti, in particolare di uno, furono oggetto d’attenzione sin dalla prima metà dell’Ottocento; il primo a occuparsene fu Vittorio Angius, che nel dizionario del Casalis parla di sé come colui che «inaugurò la ricognizione di molte altre consimili anticaglie». Lo segnalò ad Alberto Della Marmora, che ne parla nel suo «Viaggio» e ne dà una pianta e un disegno nel quale compaiono alcune belle querce delle quali oggi non c’è più traccia.
In un primo momento – riferisce – non riusciva a capire la natura dell’edificio: una stele di forma quadrata gli fece pensare a una «pietra simbolica adorata dagli antichi Arabi come personificazione della natura», mentre un altro masso a forma di mezzaluna, annerito dal fuoco, sembrava «l’altare dei sacrifici».
Soltanto in seguito, facendo il confronto con altre costruzioni sparse per l’isola, si rese conto che si trattava di una tomba di giganti: la pietra in forma quadrata e l’altra a mezzaluna non erano altro che le due parti della stele, che evidentemente le radici degli alberi avevano fatto inclinare, provocando la caduta della seconda, collocata in origine al di sopra della prima.
D’altra parte la struttura, come si può ancora vedere, è quasi completa delle altre parti che caratterizzano questo tipo di sepoltura collettiva: il vano lungo oltre dieci metri – ma senza la copertura originaria – che ospitava i resti dei defunti; e lo spiazzo a forma di emiciclo dove si svolgevano le cerimonie in loro onore.
I resti di un’altra tomba si trovano dall’altra parte della strada, ma sono in condizioni molto peggiori.
In questa che visitiamo colpiscono le dimensioni della piastra quadrata: in granito, con in basso la tipica porticina, ha attirato in passato l’attenzione di qualche misterioso tombarolo che ha trovato il modo, in una notte del maggio 1996, di portarla via, nonostante i suoi quaranta quintali di peso.
Sono stati poi gli agenti del Corpo forestale, mobilitati nella ricerca, che l’hanno ritrovata, due anni dopo, spezzata in due e abbandonata nelle campagne di Orani: in tempo, forse, prima che l’ignoto trafficante riuscisse a farle passare il Tirreno.

Fonte: http://ricerca.gelocal.it/

http://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2004/11/05/ST7PO_ST708.html

error: Content is protected !!