Durgali – Dorgali: area archeologica di Tiscali

Area archeologica di Tiscali, Dorgali

Coop. Ghivine del G.r.a. – Nuraghe Mannu

Il complesso archeologico di Tiscali si localizza al confine tra il Supramonte di Dorgali e quello di Oliena, sulla sommità del Monte Tiscali (518 m s.l.m. circa), all’interno di una dolina originatasi in seguito al crollo parziale della copertura di una grotta. La dolina, osservata dall’alto (asse N-S), presenta forma romboidale, con lati lunghi rispettivamente (da Ovest verso Sud, in senso orario) 62, 64, 92, 71 m circa, e un perimetro di 290 m circa.

Il sito è raggiungibile a piedi dalla Valle di Oddoene (Dorgali) o dalla Valle di Lanaitto (Dorgali-Oliena); il percorso misura 3,5 km circa nel primo caso e 2,2 km circa nel secondo caso (in questo percorso 650 m sono percorribili con auto fuoristrada).

L’abitato di Tiscali, già noto ai pastori di Dorgali, fu riscoperto dallo storico E. Pais che lo visitò nel 1910: lo studioso identificò nel sito «…una di quelle fortezze dove, durante la conquista romana, i più antichi abitatori della Sardegna cercarono rifugio. Tiscali è uno di quei nascondigli in cui per vari secoli essi si potevano ancora vantare di non essere mai stati domati dalla breve spada del legionario romano»; secondo E. Pais, Tiscali costituì uno degli «impenetrabili asili degli indigeni Jolaesi od Iliensi».

Nel 1927 il sito fu visitato dall’archeologo A. Taramelli; il suo resoconto conferma le ipotesi formulate da E. Pais: «…Tiscali è una di quelle località in cui gli indigeni Sardi, gli Iliensi, si rifugiarono nel tempo in cui i Romani cercavano di impossessarsi anche del centro dell’isola». A. Taramelli interpretò le strutture di Tiscali come edifici nuragici ma «dell’ultima fase della loro costruzione»; lo studioso ipotizzò inoltre che il sito fosse stato prescelto in quanto sede di un antichissimo culto, ipotesi ripresa anche da A. Moravetti, che nel 1996 ha dedicato un suo lavoro ai monumenti archeologici di Dorgali, il quale ha ipotizzato che Tiscali possa essere stato un villaggio-santuario occupato forse stagionalmente.

La ricerca storico-archeologica ha oramai chiarito che i Sardi in questione, senza entrare nel merito della discussa localizzazione del populus degli Ilienses, non possono essere assimilati alle genti nuragiche poiché quando la Sardegna fu annessa all’amministrazione di Roma (238 a.C.) la civiltà nuragica era estinta da qualche secolo; in quel periodo nell’attuale Barbagia vivevano, presumibilmente, popolazioni indigene che presto dovettero confrontarsi, attraverso un difficile percorso caratterizzato probabilmente anche da aspri combattimenti contro i soldati romani, con la dilagante influenza culturale romana subendo il lento ma inesorabile processo di romanizzazione. Fonti epigrafiche della prima età imperiale ricordano infatti che il territorio barbaricino era abitato dai populi appartenenti alle civitates Barbariae, le comunità non urbanizzate della Barbaria; è stato ipotizzato che ogni civitas detenesse un suo territorio forse suddiviso in pagi (cantoni) e articolato in vici (insediamenti) e oppida (centri fortificati): è evidente l’integrazione delle civitates nel mondo romano già agli inizi del I sec. d.C.

Il primo intervento di scavo archeologico nell’area archeologica di Tiscali è stato realizzato nel 1999 dalla SoprintendenzaArcheologica per le province di Sassari e Nuoro, nell’ambito dell’Operazione Tiscali 1. L’intervento, diretto da Susanna Massetti, ha interessato una struttura a pianta sub-ellittica e articolata in due vani localizzata nel settore Nord del sito; lo scavo ha messo in luce, dopo la rimozione di un livello di crollo, numerosi elementi lignei lavorati, attribuiti dalla direzione scientifica dello scavo ad allestimenti interni per le attività quotidiane di cronologia non precisata, e frammenti di ceramica di età nuragica e di età romana; è stato inoltre rinvenuto un vago di collana in pasta vitrea.

Nel 2013 è stato realizzato il consolidamento della capanna con architrave ligneo localizzata nel settore Nord del sito, nell’ambito del progetto “Restauro conservativo della capanna con architrave ligneo nel sito archeologico di Tiscali”, curato dal Comune di Dorgali e finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna; nell’ambito di questo progetto è stato portato avanti, ma non concluso, anche lo scavo della struttura indagata da Susanna Massetti nel 1999. Lo scavo, diretto dall’archeologo Delussu Fabrizio, ha permesso di indagare alcuni depositi di crollo e ha consentito di recuperare materiali di età moderna e/o sub-contemporanea pertinenti a strutture pastorali (elementi in legno), resti faunistici riconducibili a frequentazioni recenti, numerosi frammenti ceramici di età romana tardo-repubblicana (anfore di produzione tirrenica, dolia, ceramiche comuni non depurate) e materiali di età nuragica (frammenti di olle, tazze, frammenti in bronzo, un frammento di lama in selce, resti faunistici); sono stati inoltre recuperati due vaghi di collana in pasta vitrea.

L’abitato di Tiscali si localizza dunque all’interno di un’ampia dolina; la planimetria interna della dolina è di forma sub-ellittica con un asse maggiore di 160 m circa, orientato secondo la direttrice N-S, e un asse minore di 90 m circa; le pareti raggiungono un’altezza di 40/50 m; nella parete nord-occidentale della dolina si apre un’ampia finestra, di forma e profilo irregolare, che dall’interno consente di osservare anche la sottostante valle di Lanaitto. Il passaggio attraverso la finestra è tuttavia possibile solo con attrezzatura alpinistica; in antico l’accesso all’abitato avveniva presumibilmente attraverso il passaggio utilizzato tuttora, localizzato nell’angolo nord-orientale della dolina.

L’area archeologica di Tiscali si articola in due distinti settori, localizzati rispettivamente nella concavità Nord e nella concavità Sud della dolina ovvero distribuiti a nord e a sud del conoide detritico formatosi all’interno della dolina in seguito al crollo della copertura dell’originaria grotta; i due settori sono separati da un’area soprelevata caratterizzata dalla presenza di un grande masso detritico, di massi e roccia affiorante e di un bosco di piante, talune secolari (Leccio, Terebinto, Fillirea, Lentisco, Frassino, Olivastro, Fico, Acero Minore etc.).

Il sito si sviluppa per una superficie complessiva di 3400 metri quadri circa; in particolare il settore Nord presenta una superficie di 2350 metri quadri circa, il settore Sud mostra una superficie di 1050 metri quadri circa.

Il sito mostra in generale una limitata visibilità archeologica dovuta alla presenza diffusa di crolli e clasti detritici, fattore che complica non di poco la comprensione planimetrica dell’abitato e le operazioni di rilevamento topografico; la leggibilità del settore Nord migliora decisamente se si osserva quella parte dell’abitato dalla sommità del masso posizionato sotto la grande finestra che si apre nella parete Nord-Est della dolina o dal fondo della cavità carsica. L’esame della planimetria più aggiornata consente comunque di riconoscere 41 ambienti nel settore Nord, ma sono rilevabili anche tratti di muro riconducibili a opere di terrazzamento; nel settore Sud, meno esteso, le strutture riconoscibili sono almeno 19. Nella parete centro-occidentale della dolina si riconosce solamente un ambiente, ma è senz’altro possibile ipotizzare la presenza di altre strutture in questo punto.

L’insediamento è costituito da ambienti, vani sussidiari e forse recinti; questi ultimi sembrano maggiormente attestati nel settore sud; alcuni muri si appoggiano direttamente alle pareti rocciose o sfruttano la conformazione della roccia. È probabile che in origine le strutture fossero distribuite in tutti i lati del crollo. Gli ambienti presentano pianta rettangolare, quadrangolare, circolare o subellittica.

I muri, di modesto spessore, sono realizzati mediante l’utilizzo di blocchi di calcare locale appena sbozzato e di malta ottenuta miscelando suolo argilloso e ghiaia, con l’aggiunta anche di inerti organici (resti vegetali, forse malacofauna). La tessitura muraria è regolarizzata riempiendo di malta gli interstizi tra una pietra e l’altra; la malta è poi esternamente levigata seguendo l’aggetto delle pareti. Negli spessori murari interni si osservano degli stipetti e delle nicchie realizzate, probabilmente, per custodire gli arredi. Talune strutture presentano forma tronco-conica con pareti aggettanti, in origine verosimilmente coperte a tholos o, più, probabilmente, con una copertura di frasche. Una di queste strutture, ancora visibile in buono stato di conservazione, presenta un ingresso dotato di architrave in legno di terebinto (chessa ‘e monte). In questa e in altre strutture, localizzate nel lato sud dell’insediamento, è possibile osservare due fasi costruttive: alla prima fase, più antica, afferisce lo zoccolo murario realizzato a secco con pietre di medie e grandi dimensioni; nella seconda fase rientra la parete muraria soprastante, di spessore minore, realizzata con pietre di medie e piccole dimensioni cementate con malta di fango.

Le indagini della Soprintendenza Archeologica (scavi 1999, 2003) e le raccolte di superficie hanno consentito il recupero di materiali di età nuragica e di età romana, preliminarmente analizzati dall’archeologo Delussu nel 2005 e in seguito agli scavi del 2013. All’età nuragica appartengono i frammenti ceramici (tegami con decorazione a pettine, ollette, tazze carenate, vasi carenati, brocche con decorazione a cerchielli etc.) afferenti a contesti che vanno dal Bronzo Medio (XVIXIV sec. a.C.) all’Età del Ferro (IX-VI sec. a.C.). I materiali di età romana sono costituiti da frammenti di pareti, di orli e puntali di anfore prodotte nell’Italia centrale tirrenica: si tratta essenzialmente della forma Dressel 1, anfora vinaria prodotta tra la metà del II sec. e la fine del I sec. a.C.; particolarmente attestate le produzioni della Campania, dalla quale venivano esportati rinomati vini. Significativa in questo contesto la presenza romana agli inizi della romanizzazione della Sardegna. Questa precocità si può spiegare con la vicinanza della costa orientale sarda, intensamente frequentata dai mercatores italici fin dall’età arcaica (VII sec. a.C.) e per tutta l’età repubblicana.

Per una sicura attribuzione cronologica e culturale delle strutture insediative occorrerà attendere il proseguimento degli scavi archeologici. Qualche ipotesi può tuttavia essere avanzata a partire dalle due fasi costruttive descritte sopra: il muro della prima fase ha un aspetto avvicinabile alle murature nuragiche, mentre le murature della seconda fase e gran parte delle strutture a vista dell’insediamento, la cui tecnica costruttiva non è tipicamente nuragica, ad esempio non sono attestati altrove architravi lignei, potrebbero essere relative a un contesto successivo all’età nuragica, forse cronologicamente inquadrabile nell’età repubblicana, relativo a una comunità indigena aperta ai traffici commerciali con la penisola italica, come dimostra la presenza delle Dressel 1, e avviata, nell’esito finale, a subire il fenomeno della romanizzazione; non a caso mancano, tra i materiali recuperati nel corso degli scavi del 1999 e del 2013, attestazioni di età imperiale; è possibile che Tiscali sia stato abbandonato al più tardi nel corso della prima età imperiale, in concomitanza con la nascita di numerosi insediamenti romani nelle aree circostanti, come quello di Ruinas localizzato nella valle di Lanaitto (Dorgali-Oliena) o quello di Doinanicoro (Dorgali); naturalmente non esclude una rioccupazione del sito nel corso dell’età medievale e, più probabilmente, postmedievale.

Per quanto riguarda la localizzazione dell’abitato e l’interpretazione del contesto, è interessante ricordare le testimonianze di Diodoro, Strabone, Pausania e Zonara che attribuiscono ai Sardi abitazioni in spelonche e in caverne dislocate negli impenetrabili monti della Barbagia; a questo proposito, un passo di Zonara, riferito ai Sardi che presumibilmente abitavano nel territorio barbaricino, appare molto significativo: «…la maggior parte di questi [Sardi] si mantenevano nascosti entro spelonche situate in ambienti ricoperti di vegetazione e pertanto difficili da scovare…».

In generale l’evidenza archeologica relativa alle strutture più recenti consente dunque di interpretare il sito, già antico centro nuragico e forse prenuragico, come un insediamento civile, costituito da strutture abitative, magazzini, recinti per custodire gli animali etc., abitato da una comunità indigena dedita allo sfruttamento agro-pastorale del territorio (valle di Lanaitto, altopiani e radure limitrofi), costruito in un punto naturalmente riparato e protetto dalle intemperie come dallacalura estiva. Non sembrano accettabili le ipotesi di A. Moravetti e di M. Pittau, che  interpretano Tiscali, rispettivamente, come un villaggio-santuario temporaneo e come un luogo dedicato al cultodegli antenati occupato stagionalmente.

L’insediamento di Tiscali rappresenta un caso unico per originalità topografica e architettonica; se l’attribuzione cronologica e culturale dell’evidenza archeologica qui riproposta verrà confermata dai prossimi scavi, non si può infatti ancora escludere un’attribuzione delle strutture in esame a contesti recenziori (forse anche postmedievali), il contesto in questione costituirà uno straordinario caso di studio per comprendere l’evoluzione finale della civiltà nuragica in seguito ai contatti con il mondo fenicio-punico e forse per conoscere l’unico abitato noto attribuibile a una delle civitates Barbariae, per le quali mancano completamente le fonti archeologiche. Il sito, spesso qualificato in maniera assai riduttiva esclusivamente come villaggio nuragico, è pertanto anche di estremo interesse per l’analisi delle prime fasi del processo di romanizzazione che ha interessato il territorio dei Barbaricini e per conoscere la cultura delle comunità pastorali del Supramonte.

progetto di Recupero paesaggistico ambientale del sito archeologico di Tiscali

 

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