Pozzo sacro di Sant’Anastasia, Sardara
Come arrivare:
Il pozzo sacro si trova nel centro abitato di Sardara. La biglietteria è situata presso Casa Pilloni, in vico Sant’Anastasia, nelle immediate vicinanze dell’omonima chiesa. Coordinate: 39°37’0″N 8°49’11″E
La località archeologica di Sant‘Anastasia trae il nome dalla chiesa omonima, ubicata nella zona nord del centro urbano di Sardara, ai piedi del costone che sale verso il colle di Pran‘e cuaddus (alto m 276).
Il complesso archeologico è circondato da un considerevole numero di centri preistorici, soprattutto nuragici, e da vari insediamenti di Età punica e romana. Alla fase prenuragica di Abealzu è pertinente l‘abitato a capanne ipogeiche di Canale Linu. Tra i numerosi nuraghi segnalati, quelli complessi di Serretzì e di Nuraghe Jana, il complesso nuragico con officina fusoria di Ortu Còmidu; tra i resti di Età romana è doveroso ricordare, in particolare, le terme di Santa Maria Àcuas (le anti che Aquae Neapolitanae) a base di acque calde, celeberrime per le loro proprietà salutari, riutilizzate ancor oggi in un centro termale.
L‘interesse della località archeologica di Sant‘Anastasia emerse attraverso gli scavi ivi condotti fin dal 1913 dal Taramelli.
Lo studioso mise in luce un tempio nuragico del tipo a pozzo, costituito da una camera a pianta circolare, coperta a tholos, profondamente scavata nel suolo, cui si accede mediante una scalinata protetta da uno stretto corridoio, coperto con lastroni disposti a piattabanda. Il corridoio è preceduto da un atrio rettangolare più largo con pavimento in acciottolato e vaschetta, ora rotta, nella zona antistante l‘ingresso del pozzo. Tale vasca, a conca semicircolare, era adibita al cerimoniale religioso con l‘impiego delle acque. Sotto l‘acciottolato dell‘atrio il Taramelli ritenne di avere rinvenuto una favissa, cioè un deposito di ex–voto, mentre, più verosimilmente, i reperti ivi recuperati vanno considerati come residui di oggetti depositatisi sul pavimento più antico. All‘interno del pozzo si apre, sul lato est, una finestrella a sezione ogivale che dà l‘avvio ad un corridoio che catturava le acque sorgive.
Il Taramelli mise in luce anche un tratto murario tangente al tempio, di Età nuragica, e un secondo pozzo, di diametro più ristretto e a sezione conica, costruito con conci isodomi in lava basaltica. Nel suo interno furono rinvenuti numerosi vasi dell‘Età del Ferro (VIII secolo), ornati con motivi geometrici incisi o impressi, tra cui una brocca piriforme incisa con la rappresentazione schematica del nuraghe di tipo quadrilobato ed un‘altra, frammentaria, decorata con una figurina umana in rilievo che regge un bastone forcuto, probabilmente il simbolo di una divinità lunare.
Il pozzetto, ritenuto dal Taramelli un deposito di oggetti votivi, per la notevole profondità e per la falda d‘acqua affiorante, va considerato un comune pozzo da cui si attingeva l‘acqua utilizzata per le funzioni sacre di un altro tempio. I manufatti di questo pozzo, in maggioranza vasi potori, debbono ritenersi caduti accidentalmente al momento dell‘uso.
Durante le operazioni di restauro conservativo del pozzo, effettuato dalla Soprintendenza Archeo logica di Cagliari, si è notato che l‘estradosso aveva un piano di calpestio, attorno alla bocca del pozzo, che ha restituito elementi di collana in pasta vitrea e in ambra, oggetti in bronzo frammentari. A parti re dal 1980 (scavi G. Ugas — L. Usai) si è proceduto a ripristinare i saggi effettuati da Taramelli a fianco del tempio e poi ricoperti. Lo studio, in corso, dei manufatti rinvenuti nello strato archeologico inferiore, in una zona esterna del pozzo sacro, corrispondente al suo primo pavimento dell‘atrio, consente di attribuire l‘edificio al Tardo Bronzo (circa XIII–XII secolo a.C.), anziché alla prima Età del Ferro, come ritenuto in precedenza dal Taramelli. Il rialzo cronologico viene confermato indirettamente dai reperti, tra cui tre panelle in rame a calotta sferica, rinvenute in uno strato pertinente ad un momento di riutilizzazione del pozzo, riferibile a tempi anteriori all‘Età del Ferro o ai suoi inizi. Il Taramelli ha attribuito alla facciata del tempio vari conci isodomi in arenaria recanti incisi motivi geometrici o in lava basaltica (con bozze in rilievo) reinseriti in parte nelle pareti della chiesa di Sant‘Anastasia, rinvenuti nelle adiacenze del tempio. Tuttavia questi conci non legano affatto con la struttura muraria a blocchi in calcare compatto, appena sbozzati; vanno meglio attribuiti ad un al tro pozzo sacro individuato di recente, qualche decina di metri a sud del precedente, ai margini della recinzione moderna.
Gli scavi recenti (1980–81) hanno dato l‘opportunità di accertare che il tratto murario rettilineo tangente al pozzo messo in luce dal Taramelli fa parte di un grande recinto circolare sul tipo del recinto delle feste federali esistente nel santuario di Santa Vittoria di Serri, conosciuto come il Recinto delle Feste. Un tratto del recinto messo in vista è affiancato da un bancone continuo, a grandi lastroni in calcare, da collegare con un porticato, come nel settore 27 del recinto di Serri. All‘interno del recinto si individuano i resti di almeno quattro capanne, di cui una scavata per intero. Di forma circolare e con due nicchie, questa capanna è co struita con tecnica simile a quella del tempio sacro, sopra un ventaglio di sei canali, coperti con lastre, che si raccordano in un canale più grande a raccogliere le acque sorgive che scendono dal colle Pran‘e Cuaddus (probabilmente dalla sorgente «Sa Mitzixedda») convogliandole attraverso la finestra ogivale, all‘interno del vano del pozzo sacro. I canali erano coperti da un pavimento in battuto di fango, asportato. I reperti rinvenuti, in fase di studio, indicano che la costruzione e l‘uso furono anteriori all‘Età del Ferro. Successivamente, dopo l‘abbandono e il crollo parziale dei muri, nel corso del VII secolo a.C., parte delle pietre del muro furono reimpiegate quali sedili per i banchetti che si tenevano in occasione delle feste, come indica l‘abbondanza dei resti di pasto.
Tra i reperti rinvenuti nel 1981, degni di menzione, un altare in pietra arenaria scolpito a mo‘ di torre nuragica e sette lingotti in piombo, a forma di macina. Questi ultimi, con l‘officina fusoria del bronzo‘pertinente al vicino complesso nuragico dell‘Ortu Còmidu, sono testimonianze del traffico commerciale imperniato sullo sfruttamento dei metalli dell’Iglesiente.
L‘utilizzazione dell‘area per finalità religiose è persistita dopo i tempi nuragici, come documentano l‘esigua, ma significativa ceramica punica e i resti dell‘edificio bizantino (intitolato a Sant‘Anastasia del menologio greco), sottostante alla costru zione oggi visibile, che conserva ancora in parte elementi di architettura gotica.
Bibliografia
A. Taramelli, Il tempio nuragico di Sant‘Anastasia di Sardara,
Mon. Ant. Lin., XXV, 1918. C. Zervos, La civilisation de la Sardaigne, Paris 1954, pp. 221–219–221–223–276–291.
G. Lilliu, La civiltà dei Sardi dal Neolitico all‘età dei nuraghi, Sassari, 24 ed. 1967, pp. 221, 223, 254–260, 268, 316, 319–323, 344, 345, 351, 352, 360, 367, 368. Id.,
L‘oltretomba e gli Dei, in AA.VV., Nur. La misteriosa civiltà dei Sardi, Milano 1980, pp. 112–114.
E. Acquaro, Intinerari archeologici, Sardegna, Roma 1979, p. 70, 74, fig. 22. G.P. Pianu–D. Manconi, Breve guida della Sardegna, Bari 1981, pp. 71, 72.
Autore: Giovanni Ugas
Testo tratto da: I Sardi – La Sardegna dal Paleolitico all’Età Romana