Complesso nuragico di Bruncu Madugui, Gesturi
Si giunge al Bruncu Màdugui («Màduli» secon do la grafia locale) percorrendo la strada che da Gésturi sale alla Giara, piegando poi a sinistra appena sull‘altopiano: poche centinaia di metri e si è al complesso preistorico. Si può ugualmente raggiungere il Bruncu Màdugui, se si sale alla Giara dall‘abitato moderno di Tuili, percorrendo a piedi circa 2 chilometri verso est, dopo aver superato il complesso archeologico di S. Luisa, costeggiando sempre il bordo dell‘altopiano. È sconsigliabile, invece, raggiungere il sito da altri punti della Giara che ne richiedano l‘attraversamento, poiché è facile perdere l‘orientamento.
La prima campagna di scavi al Bruncu Madugui venne condotta, nel 1962, da G. Lilliu; nel 1980 è iniziato lo scavo, tuttora in corso, diretto dalla scrivente.
Il vasto complesso archeologico, costituito da un imponente edificio megalitico, da diversi agglomerati di capanne e da alcune costruzioni singole e apparentemente isolate, sorge nell‘estremità sud orientale del pianoro, in un punto di particolare dominio visivo.
L‘edificio megalitico principale, ubicato nell‘e stremità sud–orientale dell‘area archeologica, è una poderosa costruzione (m 28,30 x 16,50, e m 4,50 di altezza residua in evidenza) a pianta irregolarmente ellissoidale per una marcata strozzatura nel lato occidentale e un appiattimento in quello meridionale dove si apre l‘ingresso. Questo, esposto a S-SO, largo 1 metro e di m 1,70 di altezza residua, immette in un vano scala sulla destra del quale si affaccia un ambientino, probabile nicchia di guardia, a pianta ellittica e, in origine, con copertura di lastrone.
Il paramento murario della celletta è costituito da massi di medie dimensioni nella parte infe riore e da grandi lastre, opportunamente sagomate per seguire l‘andamento curvilineo delle strutture sottostanti, in quella superiore. La scala sfocia in un pianerottolo sulla sinistra del quale due scalini salgono all‘ambiente «C». Questo, in origine forse a pianta subcircolare, mostra il tratto residuo della parete interna realizzato con piccole pietre e il pavimento con pietrame attribuibile più ad un vespaio che ad un acciottolato vero e proprio. Dallo stesso pianerottolo si passa alla camera «D», molto simile alla «C», ma con un paramento murario più consistente. Non resta alcuna traccia della copertura. Dalla «D», nella parte opposta a quella da cui si è entrati, si allunga un ambiente rettangolare, forse un andito, assai degradato nel paramento murario e su cui forse si apre una scala («E»). Dopo lo scavo del ‘62, che ha messo in luce gli ambienti descritti, non si è più intervenuti sul monumento per cui resta ancora da chiarire la forma e la funzione di altri vani non ancora interessati dallo scavo.
Dall‘alto del monumento, volgendo lo sguardo verso ovest, si dominano le rovine dell‘abitato: modeste quelle presso l‘edificio, più consistenti e numerose quelle che giacciono a circa cento metri di distanza da esso. Costituito da numerosi agglomerati di capanne, il villaggio si estende su una fascia di territorio lunga alcune centinaia di metri. Gli scavi fin ora condotti hanno messo in luce quasi interamente uno degli agglomerati ed evidenziato il perimetro di un secondo, oltre a quello di due costruzioni isolate ubicate presso di esso. Il primo gruppo è un insieme di quattordici capanne, strettamente legate fra loro da muri comuni o da brevi cortine (solo la «1» è isolata e a 18 metri di distanza dalle altre), disposte attorno a cortili centrali. L‘ingresso dell‘agglomerato si apre nella parte occidentale del lato meridionale ed immette in un cortile pavimentato su cui si affacciano cinque capanne. La prima sulla sinistra è la «9».
La camera, a pianta subcircolare, è in parte occupata da una roccia, alta alcune decine di centi metri sul pavimento, che può aver costituito un piano di appoggio o di lavoro. L‘ambiente successi vo, l«8a», fu ricavato nello spazio che separa la capanna «9» dalla «8», spazio appositamente la sciato anche fra la «8» e la «7» per dare all‘insieme dell‘agglomerato la larghezza richiesta da due file di capanne fronteggiantesi disimpegnate da cortili.
Il vano è di modeste dimensioni e a pianta subpentagonale. Il pavimento è costituito da un acciottolato su cui poggia direttamente un lastrica to. La «8», a pianta circolare, ha due nicchioni laterali: in quello di sinistra è ricavato un focolare. Un sedile, o ripiano per stoviglie, corre lungo la parete di fondo.
Il vano «7a» fu ricavato tra la «8» e la «7». Il suo interno è occupato da una roccia su cui poggia il muro della «8»; a destra entrando si vedono chiaramente appartenenti al perimetro originario della capanna «7». E evidente che quando si costruì il «7a» si modificò una parte della «7» per dare maggiore ampiezza al nuovo vano. La capanna <7» mostra un focolare, accuratamente realizzato, alla base del suo unico nicchione. Dallo spessore murario che separa e accomuna la «7» alla <<6» si diparte un muro rettilineo, che delimita il cortile nella sua parte orientale, addossantesi alla capanna «11». Esso taglia in due una struttura subcircolare, delimitata da un‘unica fila di massi; è evidente la sua preesistenza rispetto al muro e alla pavimentazione del cortile. Se lo stato di consumazione di una delle pietre del muro, posta allo stesso livello di quelle del lastricato, fosse dovuto a passaggio continuo, si potrebbe supporre un‘apertura di collegamento tra la parte occidentale e quella orientale dell‘agglomerato anche dopo che si costruì il muro di divisione. Dall‘altra parte di questo muro si apre un cortiletto su cui si affacciano le capanne «6», «5» e «11».
Nelle prime due abbiamo un pavimento ad acciottolato e due nicchioni e sedile. La «11», posta di fronte alla «6», non ha nicchie e il pavimento doveva essere in terra battuta; alcune pietre, opportunamente disposte, delimitano un piccolo piano sopraelevato dal pavimento. Attraverso uno stretto passaggio pavimentato si accede ad un ampio cortile su cui danno tre capanne.
La «4» (la prima a sinistra) ha una vasta camera (m 5,50 di diametro) con due nicchioni e un sedile nella parete di fondo. Il pavimento è un rifacimento attuale: quello originario fu completamente sconvolto dai maiali. La capanna <3», interamente manomessa da ignoti dopo il 1962, è a pianta circo lare e aveva l‘ingresso volto al cortile. Essa è unita alla «4» e alla «2» da bracci di muro rettilinei. La capanna «2» è una delle più semplici dell‘agglomerato. Entro lo stesso cortile si possono vedere i resti di un ambiente, il «12», ottenuto con muretti in parte rettilinei e sfruttando il muro perimetrale della «11», il cui interno è in parte occupato da una grande roccia. Le capanne «13» e « 14» hanno l‘ingresso volto all‘esterno del cortile. Nella prima sono state rinvenute due macine a sella, poste l‘una a fianco dell‘altra, e un ripiano realizzato con pietre opportunamente sagomate e disposte. Nella «14» è presente un nicchione che mostra il paramento murario particolarmente accurato. Lungo il lato meridionale del corpo principale dell‘agglomerato sono ricavati altri ambienti delimitati da un‘unica fila di massi e da muretti divisori rettilinei. L‘ambiente «10», a sud della capanna «9» e a sinistra dell‘ingresso all‘agglomerato, è quello che maggiormente ha conservato il suo aspetto originario, men tre degli altri restano poche tracce. La capanna «1», distanziata dal gruppo ma probabilmente facente parte dello stesso, presenta una nicchia, rettangolare e sopraelevata da terra, nella parete di fondo; un nicchione in quella di destra e un focolare rettangolare quasi al centro della camera.
Una breve visita alle rovine degli altri agglomerati permetterà di constatare l‘estensione del complesso e la diversa consistenza dei raggruppamenti, nonché di verificare il disastroso stato di distruzione in cui essi giacciono. Il crollo delle costruzioni non sembrerebbe dovuto al solo trascorrere dei secoli, ma anche ad una violenza subita in antico. Se così è stato potrà dirsi con certezza solo quando lo scavo avrà restituito gli elementi utili alla ricostruzione delle vicende dell‘insediamento e all‘arco di tempo in cui esse si svolsero.
I materiali fin ora messi in luce sono prevalentemente d‘uso domestico: stoviglie di terracotta, utensili litici e d‘ossidiana; scarsi gli oggetti in metallo. I recipienti ceramici, rinvenuti quasi tutti in frantumi, appartengono ad una varietà ristretta di forme. Alcune di queste riportano alla cultura di M. Claro (vasi con scanalature e orli a tesa), altre a periodi più recenti: ciotole emisferiche carenate, tegami, vasi globoidi a colletto verticale, olle grandi e piccole; gli orli sono per lo più spessi e appiattiti; le anse variano a seconda della loro funzione di presa o di sospensione: ad anello, a nastro, a linguetta con foro passante. In quasi tutti i recipienti le anse sono impostate sotto l‘orlo. Tra i manufatti di terracotta sono presenti anche alcune fuseruole. Gli utensili litici sono rappresentati da macine, pestelli, macinelli, teste di mazza, coti rettangolari e di altre forme, un mortaio, un‘accettina di pietra verde; numerosi piccoli ciottoli di fiume, bianchi e grigi per lo più, sono stati rinvenuti presso i focolari e in altri punti delle capanne e dei cortili. L‘ossidiana è presente con cuspidi di freccia, schegge ritoccate e scarti di lavorazione.
Ai materiali archeologici di Bruncu Màdugui, già di per sé indicanti tempi dell‘Età del Bronzo e in particolare della I e II Fase della civiltà nuragica (1800–1500 e 1500–1200 a.C.), offre un significativo contributo la datatazione con C 14, ricavata dall‘analisi effettuata su lastre di sughero carbonizzate rinvenute durante la prima campagna di scavo in una delle camere dell‘edificio principale, che ha dato 1820 + 250 a.C., datazione questa che attesta l‘esistenza dell‘edificio già all‘inizio del II millennio a.C. Ma anche nelle strutture murarie e nell‘impianto della costruzione si individua un gusto arcaico di concretizzare l‘idea megalitica e si riconosce uno stato embrionale di quelle soluzioni architettoniche che raggiungeranno la loro evoluzione massi ma nel nuraghe classico. È significativa, inoltre, la presenza della torre–capanna di Taro, ubicata sul ciglio orientale della Giara, a circa un chilometro di distanza dal Bruncu Madugui e con esso in collegamento visivo, nella quale, come in quella più conosciuta di Sa Corona–Villagreca, è assente la copertura a «tholos», ma vi appaiono le premesse archi tettoniche che porteranno alla sua realizzazione: pianta subcircolare, tecnica costruttiva megalitica, spessore murario che raggiunge i 3 metri lungo l‘andito d‘ingresso. Non è ancora dato di sapere quali materiali archeologici corredino la costruzio ne di Taro, ma quelli restituiti da Sa Corona riportano a culture databili ai primi secoli del II millennio a.C. È evidente, pertanto, la fondamentale importanza che l‘edificio di Bruncu Màdugui assume nella ricostruzione delle fasi iniziali dell‘architettura nuragica.
Se poi la copertura di uno dei suoi ambienti, individuato durante la campagna di scavi dell‘80, dovesse rivelarsi a pseudocupola come sembra, potremmo trovarci davanti ad uno dei primi esempi di tale soluzione architettonica in Sardegna. Gli scavi fin ora condotti non hanno riportato alla luce alcun elemento culturale di periodo storico (fenicio–punico e romano). Se tale assenza venis se confermata dagli scavi futuri, significherebbe che l‘insediamento di Bruncu Madugui ha cessato di esistere, per un motivo ancora poco chiaro, pri ma del VII–VI secolo a.C., mentre altri abitati dello stesso altopiano durano fino a tempi imperiali, rag giungendo proporzioni e importanza notevoli come nel caso di Bruncu Suergiu–Genoni (ubicato lungo il ciglio sud–occidentale della Giara) dalle cui imponenti rovine traspare un grado di evoluzione socio–economica che sembrerebbe andare oltre quello di un modesto insediamento di pastori.
Bibliografia:
A. Lamarmora, Voyage, II, 1840, p. 110.
Angius, in Casalis, Dizionario, VIII, 1841, pag. 24.
Taramelli–Nissardi, Mon. Ant. Lincei, XVIII, 1907, col. 49–53, 62, 68, 109. Id. Bull. Paletn. It. XLIX, 1929, pag. 84.
G. Lilliu, I nuraghi. Torri preistoriche della Sardegna, La Zattera, Cagliari 1962, pagg. 177–178, tavy. LXXXI–LXXXIII. Id.,
Il nuraghe della Giara, in «Sardegna oggi», 1–15 Febbraio 1963, pag. 10 e segg. Id.,
L‘architettura nuragica (Relazione Generale) in Atti del XIII Congresso di Storia dell‘Architettura (Sardegna), Roma 1966, pag. 62 e segg. (vol. I), figg. 68–72 (vol. II).
Autrice: Giovanna Puddu
Testo tratto da: I Sardi – La Sardegna dal Paleolitico all’Età Romana
Il sito, che comprende un protonuraghe ed un esteso abitato, sorge sul limite Sud-orientale dell’altopiano basaltico della Giara di Gesturi e domina visivamente la vasta area collinare della Marmilla inferiore.
Il monumento principale, di notevoli dimensioni (lungh. m 16,50; largh. m 28,30; alt. residua m 4,50), ha una planimetria reniforme irregolare ed è costruito con grandi massi appena sbozzati posti in opera mediante l’uso di numerose zeppe di rincalzo.
Gli ambienti interni, in cattivo stato di conservazione, si presentano di difficile lettura.
L’ingresso principale (alt. m 1,70; largh. 1 metro) si apre sul lato meridionale del monumento e introduce direttamente in un vano-scala, attualmente privo di copertura, fornito, sul lato destro, di una nicchia di pianta ellittica con copertura a lastre orizzontali.
Questo vano-scala, dalle pareti realizzate con blocchi disposti su filari in aggetto, si sviluppa in un andito ascendente dal quale si accede a due ambienti superiori di pianta curvilinea e privi di copertura: il primo vano si apre sulla parete sinistra; il secondo sul fondo. Da quest’ultimo vano (diam. 6 metri), che presenta una notevole inclinazione delle pareti, si diparte, sullo stesso asse del corridoio d’ingresso, un ulteriore corridoio che giunge fino ad un probabile secondo ingresso originariamente aperto sul latoNord-orientale. Questo secondo corridoio presenta sulla parete sinistra l’ingresso di uno stretto vano interpretato come nicchia o come avvio della scala che conduceva al terrazzo.
Un consistente nucleo di capanne, pertinenti a due isolati del villaggio, si estende a circa 100 metri a Nord-Ovest del protonuraghe. Il primo, denominato “isolato A” (m 37,30×25), comprende quindici strutture circolari organizzate attorno a due ampi cortili centrali.
Il secondo isolato “B”, più vasto del precedente (60×40 metri), è composto da sei capanne circolari disposte attorno ad un cortile centrale.
I due isolati sono il frutto di aggiunte e ristrutturazioni apportate in tempi successivi su più antiche capanne indipendenti.
Testo tratto da “La Sardegna Nuragica” , a cura di Alberto Moravetti, Paolo Melis, Lavinia Foddai, Elisabetta Alba
http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/17_27_20180611131452.pdf