Tortolì: parco archeologico di S’Ortali ‘e Su Monti

 

 

Parco archeologico di S’Ortali ‘e Su Monti, Tortolì

 

Come arrivare: 

Da Tortolì si prende la strada per la spiaggia di Orrì. Dopo circa 2 km, si trova un cartello che indica il parco archeologico di San Salvatore. Si gira a destra, si prosegue per circa 200 metri e si gira di nuovo a destra, proseguendo fino all’ingresso dell’area archeologica. Coordinate:  39°54’47″N 9°40’5″E

IL COMPLESSO ARCHEOLOGICO DI S’ORTALI ‘E SU MONTI – S. SALVATORE

Rinaldo Deiana

Il Complesso Archeologico di S’Ortali ‘e su Monti – S. Salvatore si caratterizza per la presenza di un nuraghe che è assimilabile alla tipologia dei ‘complessi’. Il nuraghe ha una pianta approssimativamente ellittica. Tale forma si configura come decisamente atipica rispetto a quelle più diffuse in Sardegna. Le cortine murarie che circondano i nuraghi complessi, infatti, assumono un andamento che, a seconda del numero e di come le torri minori sono da esse raccordate, danno luogo a strutture di volta in volta di forma bilobata, triangolare e quadrata o, molto più raramente, pentagonale. Il nuraghe di Tortolì ha un muro di cinta (o bastione) che collega tre torri (alcuni autori ne indicano anche una quarta, la cui presenza deve però essere confermata da future campagne di scavo). L’andamento del muro di cinta è, si diceva, di forma irregolarmente ellittica, ben inserendosi dunque in un panorama ogliastrino che spesso adotta soluzioni architettoniche un po’ anomale rispetto a quelle diffuse nel resto della Sardegna. Le torri secondarie del nostro complesso non sono state ancora indagate, e sono pertanto ancora ricolme dei materiali di crollo e di riempimento accumulatisi nel tempo. Daranno quindi, una volta sottoposte a scavo, molti dati che arricchiranno il patrimonio di conoscenze che si è cominciato a costituire con le tre campagne di scavo già realizzate. La torre principale invece, quella che svetta al centro della struttura fortificata, ha visto concludersi nel 2010 uno scavo che ha raggiunto, per la prima volta, il piano di frequentazione risalente alla sua costruzione (1500 a.C. circa). Man mano che venivano rimossi crolli antichi – e recenti – e sistemazioni che si sono succedute in tempi molto diversi, gli scavi hanno evidenziato varie sepolture, risalenti al periodo bizantino (VI-X secolo d.C.) e romano (I secolo d.C.), che occupavano le nicchie di camera, più una nel corridoio, romana ma con tracce di un precedente utilizzo punico (VI-III secolo a.C.). All’esterno del perimetro murario le vecchie campagne di scavo avevano già evidenziato diversi ambienti con funzione abitativo-lavorativa (capanne). Di particolare rilievo la scoperta, nella zona a ridosso del settore Nord del bastione, di un’area destinata alla conservazione delle derrate alimentari, segnatamente grano, che costituisce l’esempio più importante di granaio per quanto riguarda la Sardegna nuragica, costituito da ben 10 silos (si consideri che il secondo in ordine di importanza, quello del nuraghe Nurdole di Orani, ne possiede ‘solo’ 5). Uno di questi silos in particolare ha restituito una significativa quantità di grano, ben conservato per via di una sua parziale combustione. Ma altro grano era contenuto in grossi contenitori ceramici (tra cui grandi giare) presenti in alcune capanne. Quasi tutte le capanne finora indagate (una decina) erano inoltre dotate di una o più macine, e in particolare una prospiciente il granaio che le prevedeva come arredo esclusivo, configurandosi quindi come una sorta di ‘capanna-mulino’. Già le prime due campagne di scavo, negli anni ’90, hanno quindi evidenziato una vocazione agricola del sito, con attività che dovevano sicuramente prevedere lo sfruttamento intensivo delle fertili pianure alluvionali ai piedi dell’area archeologica. Tutto ciò rende altamente probabile che il grano venisse prodotto in quantità tali da consentirne lo scambio con altri beni, diventando componente principale di traffici commerciali l’ampiezza dei quali resta ancora da precisare. Future campagne di scavo indagheranno poi l’estensione territoriale del villaggio (l’insieme delle capanne destinate ad abitazione e/o a lavorazione), che comunque già ora possiamo stimare interessasse tutto il versante Sud della collina e settori a Nord e a Est della stessa, per un totale stimabile in un centinaio circa di capanne in un’area superiore all’ettaro (per una relativa popolazione che la dimensione di quasi tutte queste abitazioni consente di ipotizzare in 400-500 abitanti). Si è prospettata pertanto già dalle prime campagne di scavo – ne saranno necessarie diverse prima che tutto il complesso venga portato alla luce – una realtà insediativa di dimensioni medio-grandi.

La torre principale

L’ingresso alla torre principale è sormontato da un architrave, al di sopra del quale sta una finestrella triangolare. Questa finestrella, detta di scarico, viene comunemente interpretata come avente la funzione di alleggerire il centro dell’architrave dai pesi dell’architettura sovrastante, scaricandoli sui lati.

L’architrave costituisce inoltre un esempio di riutilizzo di un menhir, monolite che nel Neolitico Recente (ma si ritiene anche prima) aveva funzione sacra, il quale era originariamente posto a formare uno o più allineamenti situati nella vicina collina a sud rispetto al nuraghe, dove insiste anche una Tomba dei Giganti. Attualmente residuano solo due di questi menhir, che dovevano essere 25 circa ai tempi della loro erezione, nell’area sacra sicuramente riferibile al culto dei morti del IV millennio a.C. e successivamente utilizzata, nella successiva Età del Bronzo (II millennio), dal popolo nuragico per impiantarvi la propria tipica sepoltura. Questa sepoltura, che la tradizione popolare ha attribuito ai mitici costruttori del nuraghe, i Giganti, appunto, contribuisce a consolidare il patrimonio di monumenti che costituiscono un’esclusiva della Sardegna, già magnificamente manifestatosi con la costruzione dei nuraghi.

Dell’altezza originaria della torre (certamente tra quelle più alte nell’Isola all’epoca della sua costruzione) oggi residuano ‘soltanto’ 5,60 metri, ma tutte le misure che si conservano ancora oggi risultano superiori alla media, e molte superiori anche a quelle dei nuraghi maggiori: l’ingresso è alto 2,60/2,80 m, il corridoio 4; la scala è ampia 1,32, rientrando così nel novero delle pochissime che si possono fregiare del titolo di ‘monumentale’; due delle tre nicchie della camera del piano terra sono alte 3 metri (risulta a chi scrive che è solo Su Nuraxi di Barumini ad averne due di questa altezza) e la terza ben 3,77 m. L’altezza della tholos (la cupola ogivale che caratterizza i nuraghi evoluti) doveva superare in origine i 9 metri, superando quindi quelle di Barumini e del S. Antine, che restano al di sotto degli 8 metri. Il diametro esterno della torre si aggira sui 15 m (e li supererà abbondantemente quando i prossimi scavi raggiungeranno il filare di base della muratura): diametri analoghi risultano allo scrivente presenti soltanto al S. Antine di Torralba – Su Nuraxi di Barumini viene dato per meno di 11, ad esempio. Quindi tutt’altro che un piccolo nuraghe o in pessime condizioni, come si legge in diverse descrizioni, ancora leggibili in pubblicazioni e perfino in siti col crisma dell’ufficialità.

Cinta muraria e torri secondarie

All’esterno della cinta muraria sudorientale scorgiamo una capanna che, come quella addossata al muro di cinta a sud-ovest, è costruita su un banco roccioso naturale. Sul suo settore destro vediamo delle pietre piatte disposte a formare una sorta di ripiano. Queste costituivano una macina, una delle tante rinvenute nell’area, destinate appunto alla trasformazione della principale risorsa agricola.

Nella parte settentrionale del muro di cinta si può notare invece una delle torri esterne, quella meglio conservata riguardo l’altezza dei suoi muri – si noti, per inciso, che una certa porzione delle pareti è ancora interrata: una volta indagata, tutta la struttura si rivelerà molto più alta di quanto non appaia oggi. Questa, chiamata ‘Torre Nord’, darà sicuramente delle informazioni importanti sulle fasi di utilizzo del complesso nuragico, in quanto è ricolma da circa 4 metri di pietra e terra, che costituiscono preziose stratificazioni archeologiche.

La Domu de Janas

Nei pressi del nuraghe si può anche visitare una grotticella che l’uomo neolitico scavò nella roccia per ospitare i morti in un periodo che va dal 3500 al 2700 a.C. (Neolitico Recente; la calibrazione dendrocronologia ci offre datazioni anche più alte), con successivi riutilizzi durante tutto il corso dell’epoca nuragica (Età del Bronzo). Il culto dei defunti era infatti la forma di religiosità più diffusa in quei tempi, che incorporava elementi fertilistici tesi a propiziare la continuità della specie e la fertilità della terra.

Sono tutti elementi che si palesano nella domu de janas. L’andamento stesso degli ambienti vuole simboleggiare, secondo i più, il ritorno al ventre della Dea Madre: la posizione che si faceva assumere al cadavere era infatti quella rannicchiata (da molti ricondotta a quella fetale, a rappresentare appunto il ritorno nella posizione che ci porta alla vita); i corredi funebri che accompagnavano i defunti erano costituiti da contenitori ceramici di cibi e bevande che dovevano accompagnarli in quella che gli antichi ritenevano fosse la prosecuzione della vita; le statuine della Dea Madre che vi si rinvengono sono ulteriore testimonianza, secondo i più, di un culto che paga un tributo all’espressione massima della fertilità e per ciò stesso dotata di attributi divini. D’altra parte, le decorazioni interpretate comunemente come corna di toro si ritiene simboleggiassero il contraltare maschile della Dea Madre, il Dio Toro. L’insieme di questi elementi attesta una forte valenza simbolica che si manifestava nella celebrazione di culti fertilistici che dovevano aver luogo all’avvicendarsi dei cicli stagionali.

Prospiciente la domu si può notare un breve corridoio che introduce a una piccola apertura, sagomata in modo da ospitare un portello o chiusino litico che poteva essere rimosso facendo leva con apposito attrezzo su un listello di chiusura: l’incisione a forma di y che si può osservare sullo stipite sinistro della porticina. Tale ingresso immetteva in una camera singola, piuttosto grande per le dimensioni che generalmente hanno questi ambienti soprattutto se scavati nel duro granito, dotata di cinque nicchie (di cui una appena accennata e un’altra non molto approfondita), indizio che la tomba fosse destinata a cinque defunti. Le domus de janas scavate nel granito sono costantemente dotate di pochi ambienti interni (celle), mentre quelle realizzate in materiali più teneri possono arrivare a ospitarne talvolta anche più di dieci.

Esse erano dunque sepolture per uno o più nuclei familiari di quelle che si ritiene costituissero i ceti emergenti della società stanziate nei villaggi nel Neolitico Recente.

Il circolo megalitico

Nella parte della collina che si propende verso Est si trova un ampio spazio delimitato da grossi massi disposti a formare un cerchio di quasi 12 metri di diametro interno. Seppur carente di alcuni massi nella sua parte meridionale, è agevole determinare come non si tratti di una disposizione casuale. Per quanto l’area non sia stata fatta oggetto di scavi, e per questo motivo non è attualmente compresa nel percorso di visita guidata del complesso, i frammenti ceramici di Cultura Monte Claro che vi si rinvenivano in superficie rendono altamente probabile una sua datazione all’Età del Rame (intorno al 2.500 a.C.).

Anche in assenza di una regolare campagna di scavi, chi scrive ritiene di aver rilevato come la disposizione dei massi megalitici consentisse, e consenta ancora oggi, di marcare almeno tre importanti momenti astronomico-calendariali: i tramonti al solstizio d’inverno e durante gli equinozi, più l’alba del solstizio d’estate. La descrizione dettagliata delle modalità con cui venivano determinati questi eventi calendariali sarà oggetto di una prossima pubblicazione da me curata.

I menhir

La visita al parco archeologico consente anche di ammirare due menhir, gli unici superstiti di uno o più allineamenti, la cui direzione non è purtroppo attualmente determinabile. Soltanto uno di essi infatti, il più alto (> 3,80 m), risulta nella posizione originale, mentre il secondo è stato rialzato – e senza nemmeno troppa precisione, considerando i disegni che lo ritraggono quando era ancora atterrato, molto più accostato rispetto al primo di quanto non risulti oggi. Il raggruppamento di menhir doveva essere composto all’incirca da 25 di questi monoliti. Quelli che mancano all’appello furono riutilizzati in antico, come già accennato più sopra, nella costruzione del nuraghe e della stessa Tomba dei Giganti.

I menhir costituiscono un’altra espressione del culto dei morti, e sono infatti contemporanei delle domus de janas e correlati ad esse. Sono infatti allo stesso tempo un simbolo fallico e una stele funeraria a ricordo di un defunto sepolto nelle vicinanze (per l’appunto, in una domu de janas). Sono pertanto in relazione con le grotticelle funerarie situate sotto il nuraghe, nella prospiciente collina di Monte Terli e dietro la chiesa campestre di S. Salvatore, e col culto fertilistico che vi si celebrava.

La Tomba dei Giganti

Sulla destra rispetto all’ingresso dalla strada invece, ci si trova di fronte alla tipica sepoltura nuragica, la Tomba dei Giganti.

Dapprima individuiamo, nell’area antistante la tomba, una serie di monoliti (ortòstati) posti verticalmente a formare due ali disposte a semicerchio, a costituire quella che tecnicamente chiamiamo esedra (la fronte della tomba). Anche in questo caso, quindi, notiamo la stretta associazione esistente tra le pietre infitte verticalmente nel terreno e i sepolcri, come si diceva poc’anzi per monumenti funerari del Neolitico. Potremmo pertanto considerare questi ortòstati dei veri e propri prototipi delle nostre lapidi e stele funerarie.

Al centro della fronte della tomba notiamo una pietra più imponente e ben lavorata, la cosiddetta stele centinata, che presenta una scorniciatura in bassorilievo di forma grosso modo quadrata. Ebbene, questa è solo una parte di una stele costituita con ogni evidenza da tre blocchi (trilitica), parte che si è scelto di riposizionare per dare in qualche modo un senso a un corridoio che altrimenti sarebbe rimasto privo di portello di chiusura e/o di ingresso. Quello che ne era il probabile pezzo superiore, con la scorniciatura questa volta a semicerchio, lo possiamo vedere spostandoci sul lato sinistro dell’esedra e seguendo il breve sentiero che ci porta a dominare dall’alto il corridoio funerario, dove venivano effettuate le deposizioni dei defunti. Notiamo dapprima un breve corridoio, lungo 117 cm e alto, quando era sovrastato dalla stele nella sua posizione originaria, 60 cm ca. Dobbiamo immaginare infatti che la stele avesse alla base un’apertura di 55×65 cm circa (l x h), che poteva consentire il passaggio, per quanto angusto, per le inumazioni. Le deposizioni, in un corridoio funerario di queste dimensioni, potevano arrivare a superare le centocinquanta.

Nei pochi casi di fortunati rinvenimenti di sepolture ancora intatte, si è constatato come nelle Tombe dei giganti venivano tumulati indistintamente uomini, donne e bambini, ma è incerto se tutti questi fossero espressione di élites o dell’intera popolazione del villaggio, senza distinzione di classe sociale. In ogni caso dobbiamo immaginare questo corridoio coperto, a un’altezza di un metro e ottanta, da diverse pietre (alcune residuano ai lati del tumulo, una nel fondo della tomba, quasi in posizione originale) messe orizzontalmente come d’uso nelle sepolture più antiche, i dolmen.

È da quest’ultimo monumento che deriva infatti, in ultima analisi, la Tomba dei giganti, attraverso una fase intermedia che vede il suo allungamento in corridoio dolmenico (o allée couverte), e la sua sistemazione definitiva mediante l’aggiunta delle due braccia semicircolari di pietre messe a coltello (ortòstati), a formare la tipica sepoltura nuragica. Che, lo ribadiamo, in questa sua elaborazione risulta essere costruzione unica al mondo, rinvenibile solo in Sardegna. Questo monumento è altresì unico nella sua caratteristica di continuare una tradizione neo-eneolitica che si esprimeva nei monumenti funerari megalitici ‘collettivi’ e nel culto dei defunti che vi si praticava. In Sardegna questa tradizione va dalla metà del IV millennio a.C. (o ai suoi inizi, con le datazioni calibrate) fino a un periodo, il Bronzo Recente e Finale (XIII-XI secc. a.C.), in cui nel resto d’Europa il megalitismo non poteva più contare su una manifestazione così notevole, sia nella tipologia monumentale come nel numero (un migliaio di esemplari censiti nell’intera isola), di espressioni che palesano in un’epoca così “recente” un gusto altrove ormai desueto.

BIBLIOGRAFIA

AA.VV. Tortolì, in Progetto i Nuraghi. Ricognizione archeologica in Ogliastra, Barbagia, Sarcidano. I reperti. Electa, Milano, 1990, pp. 54-115

CABRAS, G. Tortolì (Nuoro). Località S’Ortali ‘e su Monte. Il complesso nuragico, in Bollettino di Archeologia, 13-14 (gennaio-giugno 1992), Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1992, pp. 181-183

CABRAS, G. Tortolì. Il complesso di S’Ortali ‘e su Monte, in Bollettino di Archeologia, 43-45 (1997), Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1997, pp. 69-75

FADDA, M. A. Tortolì. I monumenti neolitici e il nuraghe S’Ortali ‘e su Monte, Delfino, Sassari, 2012, pp. 18-44

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