Tàtari – Sassari: altare prenuragico di Monte d’Accoddi

 

Altare prenuragico di Monte d’Accoddi, Sassari

 

Thàmus Rete Culturale Comune di Sassari

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334 807 4449

Come arrivare:

Sulla SS 131 si procede in direzione di Sassari, si supera Li Punti, poi Ottava e subito dopo si trova una strada sulla sinistra, segnalata da cartelli, che conduce al parcheggio. Coordinate:  40°47’26″N 8°26’56″E

Ricostruzione ideale del villaggio neolitico (CORNI, 2000)

L’area venne occupata già nella seconda metà inoltrata del V millennio a.C. (intorno al 4300 a.C.) allorché vi si impiantò un villaggio di capanne di pianta ellittica con strutture infossate.

In seguito nel corso dell’ultima fase del Neolitico, ovvero nella seconda metà del IV millennio a.C. (dal 3500 a.C.), al di sopra del villaggio più antico si impiantò un abitato con capanne a pianta quadrangolare, con basso zoccolo in muratura e pareti lignee. La comunità che vi si insediò è definita popolo della “Cultura di Ozieri”.

In questo periodo sarebbe stato attivo un complesso cultuale, con il menhir posto a sinistra della rampa, la pietra sferoidale o omphalos e, secondo alcuni studiosi, le lastre-altare poste alla destra.

Pur non essendo ancora nota l’estensione dell’abitato del Neolitico recente delle genti di Ozieri, una significativa testimonianza in relazione alla presenza nell’area di una comunità numericamente consistente, è data dalle varie attestazioni di ambito funerario: ben tre necropoli scavate nella roccia sono state identificate nelle basse pareti calcaree che si localizzano nei dintorni a meno di un chilometro di distanza.

In queste tombe, del tipo definito in Sardegna “domus de janas” (letteralmente casa delle fate o delle streghe), è riprodotta spesso fedelmente l’architettura della casa dei vivi mediante rappresentazione di vari elementi architettonici (portelli con stipiti, gradini, pilastri e colonne, soffitti, zoccolature) arricchiti da simboli legati alla sfera magico-religiosa.

L’altare nelle due fasi..
Tra la fine del Neolitico e l’inizio ell’Eneolitico, ovvero fra il 3020 e 2860 a.C., al di sopra della preesistente area sacra enne costruita una struttura originale costituita da una piattaforma rettangolare, alta ltre 5 metri, alla quale era possibile accedere per mezzo di una rampa, lunga 25 metri.

Questa struttura, edificata utilizzando pietre di dimensioni ridotte, aveva sulla sommità una cella rettangolare, intonacata di rosso e per questo definita “tempio rosso”.

Fase I dell’altare- sulla sommità il tempio rosso (CORNI, 2000)
Fase I dell’altare- sulla sommità il tempio rosso (CORNI, 2000)

In seguito ad un probabile incendio e ai crolli dell’edificio, le genti che occuparono l’area durante l’Eneolitico, costruirono un nuovo muro perimetrale, intorno al 2590 a.C., utilizzando blocchi anche di grandi dimensioni; questi crearono un paramento esterno con la funzione di sostenere un ammasso di terra e pietre diviso in cassoni di contenimento. In questo modo la struttura più antica ed anche il sacello o “tempio rosso” vennero inglobati all’interno. Sulla sommità di questo nuovo altare, che è quello attualmente visibile, venne costruito un nuovo luogo di culto, del quale non rimane traccia.

Scarse le attestazioni della fase avanzata dell’età del Rame che indicano che il grande altare perse la sua funzione, in seguito ai probabili crolli, fino all’abbandono definitivo. Questo appare già compiuto nella prima Età del Bronzo (cultura di Bonnanaro – intorno al 1800 a.C.), epoca nella quale si data la sepoltura di un fanciullo rinvenuta nell’angolo sud est del monumento.

Fase II dell’altare- con il nuovo muro perimetrale, il tempio rosso viene inglobato all’interno. (CORNI, 2000)
Fase II dell’altare- con il nuovo muro perimetrale, il tempio rosso viene inglobato all’interno. (CORNI, 2000)
L’Altare…oggi

La struttura a gradoni, e la scalinata che consente di raggiungere la sommità, sono state realizzate nel corso
del restauro della fine degli anni ’80, con lo scopo di fornire al visitatore un’ipotesi dell’aspetto originario del grande altare. Altri studiosi pensano che l’altare fosse costituito da due murature sovrapposte: quella inferiore con blocchi grandi e pareti meno inclinate e quella superiore con blocchi di dimensioni ridotte e pareti più inclinate. In entrambi i casi, comunque, si deve rilevare che le strutture più simili all’altare di Monte d’Accoddi sono le torri sacre o torri del dio del sole, le cosiddette Ziqqurat, documentate durante il III millennio a.C. in Mesopotamia.

Il monumento di Monte D’Accoddi con il Tempio a gradoni come ricostruito attualmente. (CORNI 2000)
Il monumento di Monte D’Accoddi con il Tempio a gradoni come ricostruito attualmente. (CORNI 2000)

Negli ultimi mesi del 2009 sono stati effettuati degli interventi di consolidamento e restauro dell’altare. Nel corso del restauro dell’angolo sud-ovest dell’edificio, si è potuto constatare che questo non presenta uno sviluppo rettilineo-angolare ma piuttosto tendente al curvilineo.

Appare dunque evidente che le ipotizzate simmetrie geometriche nelle ricostruzioni finora fatte presentano diverse forzature: peraltro si può facilmente rilevare come il lato est dell’altare sia ben più corto rispetto al lato ovest (una differenza di circa 5 metri). Rimane comunque la considerazione che la tecnica di edificazione del secondo altare, con l’uso di grandi blocchi, difficilmente avrebbe consentito i perfetti geometrismi delle torri mesopotamiche con le quali questo monumento tradizionalmente si confronta, edificate invece con mattoni crudi.

Planimetria del monumento dopo i recenti interventi di restauro
Planimetria del monumento dopo i recenti interventi di restauro
Segni del sacro prima dell’altare… La lastra-altare

Questo lastrone di forma trapezoidale si trova nella posizione originaria come dimostrano i risultati degli scavi; infatti al di sotto di esso, nella roccia calcarea sottostante, si apre una sorta di inghiottitoio naturale collegato ad una cavità sotterranea sempre naturale. Si pensa che la lastra fosse una sorta di grande altare o mensa sacra utilizzato per pasti cerimoniali o per poggiarvi offerte.

Sulla cronologia gli studiosi non concordano: taluni ritengono sia da annoverarsi tra i manufatti a valenza cultuale preesistenti all’altare, altri che sia da ritenersi contemporanea alla Fase I dell’altare.

Un’altra lastra di trachite, anch’essa nella posizione originaria, è presente nello stesso lato della rampa. Il rinvenimento nei pressi di molte ossa animali di bovini, ovini, suini e cervi indica anche in questo caso la funzione di mensa sacra.

 

L’Omphalos

 

La pietra di forma sferoidale posizionata a est della rampa non è ubicata nella posizione originaria in quanto si rinvenne oltre il muro orientale di cinta dell’area archeologica.

Secondo l’interpretazione di alcuni sarebbe una pietra sacra, simile ad un omphalos, ovvero un “ombelico del mondo” come quello di Delfi, rappresentazione e segno della presenza della divinità, oppure un simbolo solare.

Il blocco presenta delle lievi concavità, forse delle cuppelle o, secondo altri, conseguenza della modalità con cui esso venne lavorato, usando un martello di pietra. In prossimità di questa pietra se ne trova un’altra analoga ma di piccole dimensioni rinvenuta anch’essa nella zona da cui proviene l’omphalos.

 

Il Menhir

Questo grande menhir in calcare raggiunge un’altezza di circa 4,5 metri e pesa quasi 6 tonnellate. Dai risultati degli scavi effettuati nelle sue adiacenze si evince che esso era pertinente alla fase di frequentazione di “Cultura di Ozieri” e pertanto sarebbe la più antica testimonianza della sacralizzazione del luogo, ancor prima della costruzione del grande altare.

Prima delle ricerche intorno al grande altare il menhir era rovesciato; le indagini hanno permesso di mettere in luce al di sotto di esso delle buche di varia forma e dimensione, scavate nel bancone calcareo, all’interno

delle quali si rinvennero dei ciottoli anneriti e abbondanti ossa combuste pertinenti ad animali domestici, soprattutto suini.

Questi elementi potrebbero testimoniare lo svolgimento di cerimonie sacre, con pasti, offerte e olocausti in onore di una divinità simboleggiata dal menhir stesso.

Altri manufatti analoghi sono stati rinvenuti nell’area circostante.
In particolare, un menhir in arenaria di colore rossastro (alt. m.1.90) ed un altro in calcare bianco (alt. m. 2.10), interpretati come rappresentazione della divinità maschile e femminile, sono ancora in sito fuori dall’area archeologica, nei pressi del luogo di rinvenimento dell’omphalos ovvero oltre la recinzione orientale.

Sezione e prospetto dei due menhir rinvenuti a est dell’altare
Sezione e prospetto dei due menhir rinvenuti a est dell’altare

 

Il Villaggio Eneolitico…

Il rapporto tra l’area abitativa e quella sacra dovette mutare radicalmente con la costruzione dell’altare: sembra ravvisarsi infatti una rarefazione della vita dell’abitato preesistente di Cultura Ozieri, se non un momento di abbandono dell’area.

Con caratteristiche strutturali diverse e dunque facilmente distinguibili, nel primo Eneolitico o Età del Rame vi si estese un villaggio del quale sono stati messi in luce cinque isolati tutti riferibili alla cultura di Abealzu. Questi restituiscono capanne costituite da bassi muri di pietra, su cui si impostavano pareti in mattoni crudi o canne e frasche con intonaco e una copertura realizzata con pali e frasche, ad uno o due spioventi.

Di questo abitato restano tracce evidenti soprattutto nella porzione indagata a est del monumento.

Ricostruzione ideale di parte del Villaggio eneolitico (CORNI, 2000)
Ricostruzione ideale di parte del Villaggio eneolitico (CORNI, 2000)

Secondo l’interpretazione corrente l’insediamento dell’Eneolitico sarebbe un vero e proprio “villaggio- santuario” sviluppatosi in funzione del grande altare a terrazza che in questo periodo doveva essere già costruito ed espletare la funzione di luogo “alto”.

Di questa fase cronologica, che possiamo collocare fra gli inizi e la seconda metà del terzo millennio a.C., gli scavi hanno restituito abbondanti reperti ceramici, ma anche ossa animali ed altri manufatti legati alle pratiche agricole e all’allevamento.

 

La Capanna dello Stregone…

La sua suggestiva denominazione è dovuta al rinvenimento di un corno bovino e di alcune conchiglie marine bivalve entro una brocca, capovolta nell’incendio che ne causò l’abbandono repentino.

Di questa struttura, di pianta trapezoidale, si conservano i bassi muri a secco realizzati con filari di rozze pietre di medie dimensioni ad unico paramento, fatta eccezione per il lato ovest, sul quale gravava la copertura ad unica falda, dove invece è doppio.

Si articola in cinque ambienti e ha restituito uno spaccato di vita quotidiana del villaggio eneolitico in quanto, per le modalità di abbandono, conservava in situ tutto il suo antico corredo.

Il vano P doveva essere destinato alla conservazione delle derrate, testimoniata dai grossi contenitori, mentre in un altro vano è stato rinvenuto un tripode ancora sul focolare centrale e pestelli, macine e macinelli che denotano un uso funzionale alla preparazione e cottura dei cibi.

Fusaiole vi attestano la pratica della filatura e i numerosi pesi da telaio la tessitura: questi manufatti, rinvenuti anche in altri settori del santuario, sarebbero da connettersi all’offerta di tessuti pregiati lavorati in loco.

Eccezionale il peso da telaio con decorazione a dischi pendenti, che riconduce all’ambito del sacro ed esula decisamente da quello domestico.

Dalla capanna provengono una statuina femminile in terracotta e una conchiglia piena di ocra rossa, anch’esse da ricondursi ad una funzione cultuale.

 

Altri simboli sacri… Le stele antropomorfe

Tra i reperti più significativi rinvenuti durante gli scavi si segnalano due stele che si distinguono per la presenza di decorazioni, in un caso incise e nell’altra a rilievo.

Queste presentano elementi fisici del corpo umano, accennati o stilizzati, e per questo vengono dette antropomorfe.

La “prima stele”

La “prima stele”, rinvenuta fra il materiale del riempimento utilizzato per la costruzione del secondo altare, è in calcare e porta inciso un motivo a spirale e rettilineo che riproduce schematicamente gli occhi e il naso di una figura femminile.

La parte inferiore è stata interpretata come attacco del collo; pertanto dalle dimensioni residue della testa (cm.40×36), questa parrebbe essere pertinente a una vera e propria statua di culto di notevoli dimensioni.

 

La “seconda stele”

La seconda stele (qui in copia; l’originale è al Museo Sanna di Sassari) è scolpita su entrambe le facce con un motivo a rilievo che schematizza una figura femminile con grossa testa rotonda che si imposta direttamente sul tronco e su due protuberanze da interpretarsi come seni.

All’attacco del collo altre due appendici che proseguono anche nel retro della stele potrebbero essere le braccia, mentre nella parte mediana un’analoga appendice è stata interpretata come cinturone.

E’ stata rinvenuta riversa nella posizione in cui si trova oggi e viene cronologicamente correlata al secondo altare.

La seconda stele (vista frontale e posteriore)
La seconda stele (vista frontale e posteriore)

 

 

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