Altzaghèna – Arzachena: circoli megalitici Li Muri

 

 

Circoli megalitici Li Muri, Arzachena

 

Ge.Se.Co Arzachena Surl

3457200094

https://www.gesecoarzachena.it/

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Come arrivare: Da Olbia si prende per Santa Teresa di Gallura e si prosegue fino ad arrivare a circa 600 metri da Arzachena. Si lascia la macchina nel parcheggio dell’Albucciu e si percorre il sentiero naturalistico che conduce sull’altura presso la quale è situato il tempio. Coordinate:  41°4’44″N 9°24’37″E

 

Tra i monumenti archeologici di Arzachena, la necropoli tardo neolitica di Li Muri rappresenta il complesso più noto.

Fu infatti la singolarità dei sepolcri che la compongono a far ritenere che si dovesse ravvisare in essi il segno di una cultura peculiare alla quale fu data, appunto, la denominazione di “cultura dei circoli megalitici” o “di Arzachena” o “cultura gallurese”. In questa regione, in effetti, i circoli tombali con cista litica trovano una particolare concentrazione, ma l’approfondimento delle ricerche rende oggi meno categorici nel considerare la così detta “cultura dei circoli” come un fenomeno a se stante rispetto alla contemporanea cultura di Ozieri, diffusa in tutta la Sardegna.

La necropoli di Li Muri, scoperta nel 1939 da Michele Ruzittu, venne scavata per conto della Soprintendenza alle Antichità della Sardegna da Francesco Soldati, studiata e pubblicata nel 1941 da Salvatore Maria Puglisi.

Essa si compone di una serie di ciste dolmeniche – ossia piccole celle per la sepoltura costituite da lastre infisse a coltello ed una di copertura – ciascuna contornata da una serie di lastrine disposte a cerchi concentrici. Questi avevano la funzione di contenere, evitandone per quanto possibile il dilavamento, un tumulo di terra e pietrisco che doveva ricoprire il piccolo sepolcro.

In questa ipotesi, la necropoli nella sua completezza doveva apparire composta da un insieme di piccole collinette circolari, tangenti fra di loro, di diametro variabile da m. 5,30 a m. 8,50. Nel circolo più esterno di ogni sepolcro si sono rinvenuti i resti di un menhir – ossia di un cippo di pietra che riveste valore sacrale – che, in mancanza di dati certi, si presta a diverse interpretazioni: esso aveva forse valore di “betilo” (dall’ebraico beth-el), ossia di “sede del dio” che proteggeva i morti; oppure potrebbe aver rappresentato un contrassegno dei defunti, recando magari simboli dipinti sulle superfici.

Fra le diverse interpretazioni è stato proposto dalla Castaldi anche un richiamo all’esperienza etnologica: secondo una credenza diffusa presso vari popoli, lo spirito del defunto, appena spirato, si aggirerebbe attorno alle proprie spoglie cercando di capire la sua nuova essenza. In questa ipotesi il cippo poteva costituire il rifugio per quello spirito.

Oltre ai menhir, sarebbero legate al culto dei morti le tre piccole cassette di pietra (m. 0,40 x 0,50) situate in prossimità dei punti di tangenza dei circoli funerari, che dovevano accogliere periodiche offerte per i defunti. Non è escluso che tali offerte potessero consistere in cibi, magari deposti in contenitori di materiale deperibile quale il legno, come ha fatto pensare l’averle ritrovate assolutamente vuote.

Purtroppo l’acidità del terreno granitico non ha consentito neppure che arrivassero fino a noi i resti scheletrici degli inumati delle ciste funerarie, sufficienti per uno studio antropologico; si sono infatti rinvenuti solo pochi frammenti disfatti di ossa lunghe. Questa situazione non ha quindi consentito di stabilire il tipo umano cui apparteneva il gruppo di Li Muri, né il numero degli individui deposti in ogni sepolcro. È stato ipotizzato che si trattasse di sepolture singole, impressione che scaturisce soprattutto dalle dimensioni delle ciste.

Non si può neppure escludere, tuttavia, che un sepolcro potesse anche accogliere più individui, soprattutto considerato il fatto che nulla si conosce del rituale di sepoltura. Non sappiamo se venisse sepolto il corpo nella sua completezza (cioè in deposizione primaria) o se venissero deposte nella cista i soli resti scheletrici dopo la scarnificazione (cioè in deposizione secondaria).

Il rinvenimento nelle tombe di ciottoli con residui di ocra rossa ha fatto anche ipotizzare che questa potesse essere utilizzata per dipingere i corpi dei defunti: il rosso è infatti il colore del sangue e della rigenerazione; il suo uso nelle tombe neolitiche sarde è ampiamente documentato.

Di particolare importanza sono gli oggetti che componevano i corredi che accompagnavano i defunti nei sepolcri. Vi si sono rinvenuti raffinati manufatti in pietra caratterizzati da effetti di lavorazione particolarmente accurata: una coppetta di steatite con due anse a rocchetto pieno e fondo ad anello in rilievo; finissime lame in selce, accette triangolari in pietra dura levigata, pomi sferoidi forati, di funzione incerta, ipoteticamente ritenuti armi da offesa per il combattimento ravvicinato o insegne di comando; infine una serie numerosa di grani di collana in steatite a forma di piccole olive, altri sferici e discoidali. Si sono inoltre rinvenuti minuti frammenti di manufatti in ceramica d’impasto, privi di ornamentazione.

Fra tutti gli oggetti descritti, merita particolare attenzione la coppetta di steatite poiché trova puntuali confronti in simili esemplari di pietra da Creta, isola dalla quale ne è stata ipotizzata l’importazione in Sardegna attraverso attività di scambio. Richiami extrainsulari sono offerti anche dai pomi sferoidi, essendo questi oggetti noti a Creta ed in Anatolia, nonché nella penisola italiana, in quella iberica ed in Francia. In Sardegna trovano una larga diffusione in contesti di cultura Ozieri, come pure la coppetta, il largo uso degli oggetti in pietra nell’ambito del Neolitico Recente isolano.

Per quanto concerne l’architettura, i confronti più vicini per la necropoli di Li Muri corrono verso la Corsica, dove le tombe a “coffres” di Tivolaggiu (Porto Vecchio), di Vasacciu e di Monte Rotundu (Sotta), di Caleca (Levì), che hanno restituito corredi ricchi di manufatti in ossidiana sarda e di altri oggetti di pietra, confermano lo stretto rapporto esistente tra la Gallura ed il meridione corso fra la fine del IV e gli inizi del 111 millennio.

Se da un lato i resti di Li Muri nel loro insieme consentono di inserire il fenomeno culturale dei circoli nell’ambito di una circolazione di beni e di idee di ampio respiro, dall’altro, i dati materiali non sono sufficienti per tracciare un quadro dell’economia e della società.

Non conosciamo neppure le abitazioni del gruppo gallurese in questione; è stato ipotizzato che fossero rappresentate dai numerosi tafoni presenti nei monti circostanti. In proposito, va detto che recenti scoperte hanno posto nuovi interrogativi, essendo stati identificati a circa m. 600 di distanza in linea d’aria dalla necropoli, in località Pilastru, resti di fondi di capanna riferibili alla cultura di Ozieri. Resta ora da valutare in quale misura questo villaggio possa avere attinenza con la necropoli a circoli.

Testo tratto da “il Nuraghe Albucciu e i monumenti di Arzachena”, di Angela Antona Ruju – Maria Luisa Ferrarese Ceruti

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