Serri: santuario nuragico di Santa Vittoria

 

 

Santuario nuragico di Santa Vittoria, Serri

 

L’Acropoli Nuragica

Come arrivare:
Da Serri si seguono le indicazioni dei cartelli turistici e si prende la strada asfaltata che, in circa 4 km, conduce all’area archeologica con parcheggio e biglietteria. Coordinate:  39°42’42″N 9°6’8″E

Forse per nessun altro luogo della Sardegna protostorica gli avvenimenti della scoperta e delle successive indagini sono strettamente correlate alla conoscenza, anche fuori dall’Isola, dell’antica civiltà nuragica. Infatti dal momento dell’individuazione del sito e dei primi scavi sulla Giara di Serri effettuati nel 1907 da Antonio Taramelli e Filippo Nissardi, l’altopiano, che prende nome dalla chiesa dedicata a Santa Maria della Vittoria, entrò, di diritto, tra le località più importanti e note della protostoria europea e mediterranea.

Tutto ciò fu possibile perché i risultati delle numerose campagne archeologiche, effettuate per oltre un ventennio, vennero puntualmente e rigorosamente pubblicate nelle sedi scientifiche italiane più prestigiose del tempo: Notizie degli Scavi di Antichità e Monumenti Antichi della Reale Accademia dei Lincei.

Il sito, come ha modo di sperimentare chi ha la fortuna di visitarlo, si configura come un luogo alto, una vera e propria acropoli naturale, da cui lo sguardo spazia per un largo tratto della Sardegna centro meridionale. La scelta di questo luogo da parte delle genti nuragiche non fu casuale poiché, come aveva già intuito il Taramelli e come hanno avuto modo di precisare meglio gli studi successivi, la Giara di Serri è ubicata in posizione baricentrica rispetto a una serie di sistemi territoriali di età nuragica ed era stata individuata quale punto nodale, di incontro e di aggregazione, fra le diverse comunità.

La frequentazione del pianoro tuttavia iniziò un centinaio di anni prima che esso assumesse la precisa connotazione di luogo di culto. Infatti nello sperone roccioso, quasi a ridosso della chiesa, già a partire dal XVII secolo a.C., venne edificato un nuraghe del tipo “a corridoio” successivamente inglobato dagli edifici più recenti, che evidenzia, fin dagli inizi dell’età nuragica, la specifica vocazione strategica del luogo che controllava un importante valico verso la piana della Trexenta. Già in una fase non avanzata del Bronzo Medio questa parte del pianoro venne sottoposta a una risistemazione complessiva nella quale è possibile riscontrare le prime tracce della “sacralizzazione” dello spazio.

Ma è solo nel Bronzo Recente, intorno al XIII secolo a.C., che avvenne l’attribuzione definitiva di una funzione specifica e caratterizzante in virtù della fondazione e innalzamento di numerosi edifici costruiti con la più accurata tecnica isodoma, esito di una sapiente conoscenza delle tecniche costruttive maturate durante la stagione di innalzamento delle torri dei nuraghi. In questo periodo vennero innalzati il cosiddetto “Tempio ipetrale’: secondo la denominazione attribuita da Taramelli, ma anche molti ambienti successivamente inglobati all’interno del “Recinto delle Feste” e forse anche la “Capanna del sacerdote”.

È probabile che il ruolo assunto dal santuario comportò, sullo scorcio del XII secolo a.C., la necessità di ulteriori ampliamenti con la costruzione, secondo canoni e modalità ormai consolidate, del pozzo sacro, con atrio coperto con tetto a doppio spiovente, scala e struttura ipogea coperta con una volta a tholos; infine un temenos, delimitato da un muro, suddivide lo spazio sacro da quello profano, lo spazio fisico da quello rituale. Al primo gruppo di edifici, oltre al pozzo, appartiene il cosiddetto “Tempio ipetrale” e un tempio a megaron, noto come “Casa del sacerdote o del capo’: dotato di un atrio e di un vano interno circolare con nicchie e copertura a tholos.

All’esterno, nell’area profana, una serie di fabbricati sono disposti intorno a un ampio cortile di pianta ellittica. È questo il luogo che il Taramelli definì “Recinto delle Feste” immaginando che questo fosse l’ambito in cui, in precise ricorrenze forse di matrice agraria, le genti nuragiche si raccoglievano per stipulare accordi e rinsaldare patti. In questo luogo sarebbe avvenuta la contestualizzazione e ritmizzazione del tempo attraverso eventi politici e sociali che scandivano le periodizzazioni cicliche con al centro feste e cerimonie pubbliche.

Un terzo gruppo di costruzioni, verosimilmente da interpretare quale nucleo abitativo, è posto in direzione est. Fra di esse si segnala per dimensioni e magnificenza una casa a pianta circolare detta “Curia”, dotata di un bancone sedile lungo la parete.

La definizione datane dal Taramelli, anche in seguito agli arredi rinvenuti, e il confronto con architetture simili non lasciano dubbi circa l’interpretazione di questo vano quale luogo di riunione, di incontro e di rappresentanza. Restano da citare gli elementi di culturamateriale, soprattutto i numerosi bronzi figurati, rinvenuti sull’acropoli di Serri insieme ad altre decine di oggetti sacri ma anche della vita quotidiana. Ci raccontano un universo fatto di uomini e di donne, di madri assise che tenendo fra le braccia i propri figli costituiscono delle antesignane della Pietà michelangiolesca; di capitribù e guerrieri con arco, di offerenti, di sacerdoti e di sacerdotesse, maghi e sciamane e infine di animali vari.

La sacralità del luogo non verrà mai meno, anche dopo che un vasto incendio, forse in età punica, e la rovina di alcune strutture ne ridussero l’importanza a un ambito più circoscritto. La chiesa di Santa Maria della Vittoria e la festa che ancora oggi vi si svolge l’ 11 settembre testimonia questa continuità di culto in uno dei luoghi più incantevoli e incantati di tutta l’Isola.

FONTE: F.Campus – Il tempo dei nuraghi

 

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